Bonus, cessioni, austerity e giovani: ma la dieta del calcio è quasi invisibile

di Emiliano Condò
Pubblicato il 11 Settembre 2012 - 13:44 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Un miliardo, 39 milioni e 500 mila euro lordi: è il monte ingaggi complessivo della serie A all’epoca della tanto decantata svolta di austerità. In linea, si dice, con il ridimensionamento imposto dalla crisi finanziaria in cui si dibatte il Paese, in sintonia, si dice ancora, con il sentimento prevalente della “gente”. “La dieta c’è ma non si vede”, titola in prima pagina la Gazzetta dello Sport di oggi (11 settembre), esaminando gli ingaggi di ogni singola squadra, confrontandoli con quelli degli anni passati, alla luce delle nuove politiche societarie come quelle di Milan e Inter, le più attive nel sforbiciare i top-stipendi.

Ed è difficile dare torto alla Gazzetta: perché se è vero che per la prima volta dopo un decennio la spesa complessiva di tutta la serie A scende è altrettanto vero che la dieta, per ora, ha bruciato solo qualche liquido in eccesso. Per arrivare al peso forma che nella fattispecie si chiama Fair Play finanziario, ovvero spendere non più di quanto si fattura, bisogna ancora iniziare a intaccare la “massa grassa dello spreco”.

A iniziare la cura, e questa è una notizia, sono state le due milanesi, tra i club più indebitati e più lontani dai parametri di Michel Platini. Cura efficace ma dolorosa: il Milan dimagrisce di 60 milioni in un colpo solo e lo fa grazie a due fattori: l’uscita dei “vecchi” con i vecchi contratti, da Filippo Inzaghi a Gennaro Gattuso passando per Alessandro Nesta e Clarence Seedorf e le dolorose cessioni di Ibrahimovic e Thiago Silva.  Restano da limare altri dettagli, come i troppi giocatori in rosa, ben 32, e il buco di bilancio di 69 milioni dell’anno precedente sarà un ricordo.

Dieta stretta anche in casa Inter dove il monte ingaggi è stato abbattuto di 40 milioni. Cura e “rivoluzione culturale” come direbbe il presidente Massimo Moratti. Cura che inizia dalla panchina dove siede Andrea Stramaccioni, giovane, promettente e low cost. Anche in casa Inter il risparmio passa per cessioni e “dismissioni”: fuori gente come Pazzini, Maicon, Julio Cesar e dentro giovani o giocatori affermati dalle pretese meno onerose, come Palacio.

Ma il risparmio non è affare che riguarda tutti. Perchè, per esempio, complici i conti che glielo consentono e i ricavi in arrivo dalla Champions League, la Juventus ora spende di più, 115 milioni. A un passo dai 120 del Milan che è ancora la squadra che spende di più. C’è un “ma”: la Juventus è tra le squadre più “flessibili”, tra le prime ad usare la formula dei contratti a rendimento, legati ai risultati. Così se la Juve dovesse vincere ancora, sarà la squadra a pagare di più. Un bel pagare, ma sempre pagare.

Altre eccezioni sono quelle di Lazio e Roma, il cui monte ingaggi resta sostanzialmente in linea con quello dell’anno prima. Ma sono casi particolari: a Roma Walter Sabatini ha tagliato 43 calciatori, uno sproposito. Ma ne ha comprati diversi e soprattutto sul monte ingaggi pesa il contratto di Daniele De Rossi, tra i tre più pagati della serie A e quello, meritato ma pesante, di Francesco Totti. Risultato: 95 milioni di spese, come l’anno scorso. A Trigoria dovranno lavorare su formule più flessibili, legate ai bonus.

Caso particolare è quello della Lazio. Claudio Lotito, è noto, non è uno “spendaccione”. Però si trova con 34 giocatori in rosa, abbastanza per fare due squadre. E il monte ingaggi finisce per pesare 66 milioni e spicci, usati in parte per pagare calciatori che non vedono neppure la partita in tribuna.

Nel  complesso la “media borghesia” del calcio italiano, da Genoa a Palermo, ha contenuto i costi. Ma anche qui ci sono eccezioni. In serie A si rivedono squadre come Torino e Samp, che non sono esattamente “piccole”. Risultato: loro spendono di più e fanno lievitare il monte ingaggi complessivo della Lega.

Ci sarebbe da parlare, e a lungo, del fatto tecnico. Perché un campionato che perde top player come Ibrahimovic, Thiago Silva, Lavezzi, prospetti come Verratti e ottimi giocatori come Ramirez e Nastasic per appena scalfire la montagna del debito forse, anzi certamente, continua a sbagliare più di qualcosa nella gestione e nei conti. Competere con gli emiri non si può, è vero, ma trattenere Verratti e Ramirez sarebbe stato possibile.

Solo un esempio. Nel 2012, quando già le prime sanzioni sul Fair Play finanziario iniziano ad arrivare, i top club italiani scoprono i contratti a rendimento. La parola chiave adesso è “bonus”, ovvero retribuire un calciatore non come un semplice dipendente ma come un manager. Un fisso e una percentuale in base ad obiettivi individuali e di squadra. Ne sa qualcosa, per esempio, Antonio Cassano, passato da Milan ad Inter e con un fisso di 2.7 milioni e il resto in base ai risultati. Non è una novità. La Juventus, per esempio, lo fa da anni. Ci provò addirittura con Carlo Ancelotti prima di calciopoli. Era il 2001, nel calcio un’era geologica fa: Ancelotti firmò e poi andò via. Ma fu polemica, come se trattare un allenatore da manager fosse una forma di lesa maestà. Il “contratto a cottimo” allora non piacque. Oggi è la prassi, dettata dalla sopravvivenza.

Anche perché, nel frattempo, la Uefa ha iniziato a fare sul serio. Proprio martedì 11 settembre sono arrivati i provvedimenti per il mancato rispetto dei criteri di fair play finanziario. Ovvero sospensione temporanea dei premi di partecipazione per 23 squadre iscritte alle competizioni Uefa per la stagione in corso. Per ora, insomma, chi non si mette in regola non incassa. Dall’anno prossimo chi non è in regola non potrà partecipare alle coppe. Sempre se la Uefa manterrà le promesse.

Ma Platini sul Fair Play ha investito buona parte della sua credibilità. E non può tornare indietro. Per ora l’Uefa ha momentaneamente ‘congelato’ i premi di 23 società, alcune delle quali di prestigio, come il Cska di Sofia, L’Hajduk di Spalato, lo Sporting, il Rubin Kazan, il Partizan Belgrado, la Dinamo Bucarest, la Rapid Bucarest, il Vaslui, il Fenerbahce. Per tutte queste società scatta l’obbligo di sanare il pregresso entro il 30 settembre, pena la mancata concessione dei premi. Poi si vedrà.

Ultimo fatto: di questi tempo, due anni fa, i calciatori scioperavano per questioni varie, dai fuori rosa alla libertà di rifiutare i trasferimenti. Allora si discuteva  anche di ingaggi al netto o al lordo. Un “dettaglio” significativo: la prassi voleva che i procuratori si accomodassero a negoziare con i club parlando sempre e solo di ingaggi netti. Se ci si accordava per cinque milioni erano tutti in tasca al calciatore, a prescindere da tasse e altri extra. Poi sono arrivate le manovre, i contributi di solidarietà e il cambio delle regole. Ora si discutono gli ingaggi lordi. E’ vero, i calciatori chiedono di più, ma se aumentano le tasse a contratto in essere sono loro a pagare, non più i club.