De Siervo, ad Lega Serie A: “Cori razzisti? Spegniamo i microfoni così non si sentono”. L’audio rubato

di Redazione Blitz
Pubblicato il 3 Dicembre 2019 - 14:40 OLTRE 6 MESI FA
De Siervo, ad Lega Serie A: "Cori razzisti? Spegniamo i microfoni così non si sentono". L'audio rubato

L’ad della Lega di Serie A De Siervo (Ansa)

ROMA – Un audio rubato durante una riunione dei vertici del calcio ripropone le questioni del razzismo negli stadi e della demoralizzante risposta delle istituzioni. Durante il consiglio di Lega del 23 settembre scorso uno smartphone registra l’ad Carlo Luigi De Siervo mentre consiglia di spegnere i microfoni delle tv direzionati verso le curve per evitare che i telespettatori sentano a casa i “buu” razzisti.

Nella sala, oltre a De Siervo, erano presenti l’allora presidente della Lega Gaetano Micciché, Luca Percassi dell’Atalanta, Alessandro Antonello dell’Inter, Paolo Scaroni del Milan, Stefano Campoccia dell’Udinese e il segretario verbalizzante Ruggero Stincardini.

Silenziare i buu per non avere problemi: sarebbe questa la soluzione dei presidenti di Serie A per uscire da una situazione, quella del razzismo esplicito ed ostentato, che è finita addirittura in prima pagina sul New York Times. 

Proprio la circostanza dell’articolo ha fornito a De Siervo l’assist per giustificarsi. “Ma quale censura. Stavamo parlando di come valorizzare un prodotto. Eravamo reduci da un articolone del New York Times che indicava l’Italia come la nuova frontiera del razzismo nel calcio. E io ho suggerito di gestire in maniera più precisa il direzionamento dei microfoni. Capita spesso infatti che da casa si sentano dettagli che allo stadio nemmeno si percepiscono”.

Il principio evocato è quello di non dare visibilità ai brutti gesti, in campo (accenni di rissa, parolacce…) e fuori. Perché quello che difende la Lega in fin dei conti è un prodotto commerciale come un altro. Che, incidentalmente, riguardi l’esistenza di persone in carne e ossa (e pelle di diversa pigmentazione) o la reputazione di un’intero mondo, questo è un altro discorso. Di cui, preferibilmente, non fare menzione. (fonte La Repubblica)