Gigi Buffon e l’intervista a “Vanity Fair”: “La manganellata ricevuta dalla polizia? Ero al casello e…”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 9 Gennaio 2019 - 09:48 OLTRE 6 MESI FA
Gigi Buffon e l'intervista a "Vanity Fair": "La manganellata ricevuta dalla polizia? Ero al casello e..." (foto Ansa)

Gigi Buffon e l’intervista a “Vanity Fair”: “La manganellata ricevuta dalla polizia? Ero al casello e…” (foto Ansa)

ROMA – Intervistato da “Vanity Fair”, Gigi Buffon si racconta tra ricordi d’infanzia e… situazioni al limite:

“Ero ultrà – racconta il numero uno del PSG –  del Commando Ultrà Indian Tips, il nome del gruppo di tifosi che seguivano la Carrarese, ancora ce l’ho stampato sui miei guanti. Incontravo gente di cui si parla tanto senza saperne nulla. Ragazzi normali, sognatori, idealisti. Alcune persone interessanti e qualche deficiente… Da ragazzo covavo una sensazione di onnipotenza e invincibilità. Mi sentivo indistruttibile, pensavo di poter eccedere, di fare quel che volevo. Mi tengo ben stretta la sana follia dei miei vent’anni. Ho fatto le mie cazz…, ne ho assaporato il gusto e in un certo senso sono contento di non essermene dimenticata neanche una”.

“La manganellata ricevuta dalla polizia? È una storia che risale a vent’anni fa. Dopo una partita diedi un passaggio a un tifoso del Parma. Al casello c’era un posto di blocco della polizia. Appena vide le luci blu, lui si dileguò. A confronto con loro rimasi solo io”. 

“Droghe? Ho accuratamente evitato di drogarmi e doparmi, al massimo una canna. Semmai ricordo la nuvola di fumo che avvolge i tifosi della Casertana, una nebbia provocata non dai fumogeni, ma da 200 canne fumate tutte insieme: è come se la vedessi ora”.

Capitolo depressione. Lui ha ammesso di averne sofferto all’apice della carriera, quando aveva 25 anni e giocava nella Juventus: “Per qualche mese ogni cosa perse di senso. Mi sembrava che alle persone non interessasse Gigi, ma solo Buffon: il campione che incarnavo. È stato un momento davvero complicato, anche se avevo 25 anni e avevo successo e notorietà”. Anche in questo caso Buffon racconta un episodio in particolare: “Pochi minuti prima di una partita di campionato mi avvicinai al preparatore dei portieri, Bordon, e gli chiesi di far scaldare Chimenti. Gli dissi che non me la sentivo di giocare, perché avevo avuto un attacco di panico e non potevo sostenere la partita. Ne uscii – spiega Buffon – condividendo quella nebbia con gli altri. Capii che quel momento era uno spartiacque e non dovevo avere paura di mostrare le mie debolezze, né di piangere”.

Capitolo Nazionale. “Ventura? Dire che noi calciatori lo abbiamo osteggiato è una balla colossale, da parte nostra c’è sempre stata massima disponibilità: lo abbiamo difeso in ogni occasione. È vero – aggiunge Buffon – che a un certo punto si è sentito solo. Ma forse un sostegno doveva esserci da chi di dovere. Ma come insegnante di calcio a me Ventura è piaciuto tantissimo”.

Buffon non teme di parlare anche di argomenti più seri ed attuali come l’accoglienza dei migranti: “Se affonda un barcone a Lampedusa e muoiono 300 persone ci commuoviamo e pensiamo anche ad adottare i bambini rimasti orfani, ma se non affonda ci lamentiamo dell’ingresso di 300 immigrati e ci chiediamo cosa vengano a fare”. Parole forti anche sugli scontri di Milano che hanno causato la morte di un ultrà, Daniele Belardinelli: “È difficile provare a contestualizzare quanto successo a Milano. L’odio è un vento osceno, da qualunque parte spiri, non solo in uno stadio perché ho il forte sospetto che il calcio, in tutto questo, reciti soltanto da pretesto”.