Juventus, Marcello Lippi: “Massimiliano Allegri? Mi rivedo in lui”

di redazione Blitz
Pubblicato il 25 Marzo 2015 - 17:19 OLTRE 6 MESI FA
Juventus, Marcello Lippi: "Massimiliano Allegri? Mi rivedo in lui"

Lippi sulla prima pagina della Gazzetta dello Sport

ROMA – Marcello Lippi,  campione del mondo con la nazionale Italiana ed ex tecnico della Juventus, ha rivelato di rivedersi in Massimiliano Allegri in una intervista esclusiva alla Gazzetta dello Sport. Articolo a firma di Fabio Licari.

«Tutti vorremmo un’Italia di italiani. Ma se il c.t. ha appena il 34% di selezionabili, e ci sono giocatori importanti e funzionali, allora è giusto convocarli. Anche se oriundi. E poi, scusate, il regolamento lo permette. Mentre non mi pare che dalle nostre parti le regole siano sempre rispettate…». Marcello Lippi ha vinto un Mondiale con un oriundo, Camoranesi, e un altro ne ha cercato invano. «Amauri. Sarebbe stato necessario. Dopo un infortunio ha però un’involuzione: lo vado a trovare per spiegargli che, se avesse giocato come prima, l’avrei chiamato, altrimenti no. Mi ringrazia lo stesso. Gli oriundi bravi servono».
Eder e Vazquez sono «bravi»?
«Sì, soprattutto in quanto utili in certi ruoli. Eder è esperto, ha tanti anni di Italia, offre molteplici soluzioni d’attacco, può stare sulla fascia. Vazquez è un talento, ha qualità: non ho ancora capito il suo vero ruolo, però ha le caratteristiche di Zidane, un trequartista, una mezzapunta molto tecnica».

Ma in Nazionale non si sfugge alla polemica…
«Perché è la squadra di tutti, di 60 milioni di tifosi e c.t., e non appartiene solo a juventini, milanisti…».
Conte ha insistito in questi mesi: abbiamo poca qualità, non ci danno neanche gli stage…
«Però l’ho sentito parlare di ripresa del calcio italiano. Come sempre, in fase di ricostruzione, ci sono difficoltà. Il problema vero sono i pochi selezionabili. Ma le Under mi danno ottimismo, vedo qualità in arrivo. Gli stage avrebbero fatto comodo ma non sono fondamentali: meglio aver allungato la fase pre-Europeo».

Parla con Conte?
«Molto spesso. È uno dei tanti che ho allenato e poi è diventato tecnico, più di venti: tutti dicono di aver preso qualcosa da me. Abbiamo trascorso anni straordinari, siamo cresciuti assieme nella Juventus che prima s’è imposta in Italia poi all’estero. Resta il ricordo per tutte le domeniche passate ad abbracciarci per i successi. Abbiamo avuto qualche contrasto, ma se c’è intesa passa tutto, come le liti con la moglie».
Conte si sente un po’ solo.
«Si, un po’ lo è, come tutti i c.t., ma è circondato da persone competenti della Figc, molte delle quali erano già con me».
Valdifiori in Nazionale cos’è?
«Una piccola favola. Sia preso a esempio dai giovani, significa che il c.t. guarda tutti: Pirlo e De Rossi sono ancora importanti, ma non eterni. C’è Verratti, che dei giovani è il più bravo sul piano internazionale, ma ogni c.t. deve avere 3-4 soluzioni per ruolo».
Conte aveva qualche perplessità su Verratti play…
«Credo abbia visto anche lui la Champions e si sia accorto della crescita di qualità e personalità. Lo sta valutando. Certo è un ottimo organizzatore di gioco».
Attorno a Verratti c’è un’ItalJuve.
«Cosa che deve far riflettere gli altri club. Ci sono troppi stranieri nel campionato, troppi nei settori giovanili, senza alcun riferimento al colore della pelle, troppe partite con 22 stranieri, e poi chi domina da quattro anni ha investito sul blocco italiano. Morale? Così ha mantenuto senso di appartenenza e compattezza morale necessari per vincere. Non è lo stesso una squadra con gente di nazioni e continenti diversi».
La Juve si arricchisce di Barzagli: non sarà facile tornare a quattro.
«In realtà è un valore aggiunto per Allegri che ha la possibilità di usare due moduli di identico valore, anche nella stessa partita».
Lei ha sempre parlato bene di Allegri, anche quand’era in discussione nel Milan.
«Sì, perché mi sono rivisto un po’ in lui. È arrivato alla Juve più o meno alla mia età, ha la stessa mia concretezza e la voglia di modernizzare la squadra. Ci sono punti in comune».
Non era facile entrare nella Juve stravincente di Conte.
«Si vede l’intelligenza: in punta di piedi in un ambiente dove si praticava un certo calcio, senza stravolgere le certezze. Poi, con idee leggermente diverse, ha dato a poco a poco la sua identità».
Lei aveva anche fatto un paragone con la «minor furia agonistica» rispetto a Conte…
«Ma non era un giudizio di merito: volevo sottolineare alcune differenze nei modi di vedere il calcio».
Le piace Pogba?
«Potenzialmente immenso. Deve solo evitare certi atteggiamenti, non fare certe giocate creative o almeno farle il più vicino possibile all’area avversaria».
Dortmund le avrà ricordato qualcosa…
«Accidenti! Per la mia Juve è stata terra di conquista, di crescita internazionale, e con l’Italia ho giocato qui la miglior partita, la semifinale, vinta nei supplementari con quattro attaccanti».
Oggi è più difficile che ai suoi tempi puntare alla Champions.
«Il sorteggio può dare una mano: pensate alla Juve di Conte, se non avesse trovato il Bayern. Il Monaco è da temere, per carità, ma non è il Barcellona. E se sei in semifinale… Penso alla mia Italia: non era favorita ma, una vittoria dopo l’altra, è arrivata in fondo. I rivali ci guardavano con altri occhi. Tutto può accadere».

Segnali di rinascita italiana?
«Sicuro. La Juve cresce bene: dopo essersi imposta in Italia ora può diventare europea, e dare una spinta a tutto il movimento».
Anche se succedono cose tipo Parma…
«Che rammarico, una città dal calcio bello e pulito, finita così».
C’è un rimedio per casi come il Parma, per processi allo stadio…
«Sì, smettere di parlare di oriundi e occuparsi di cose serie».
Calciopoli?
«Dopo tanti anni mi pare sia emerso che non c’erano solo due brutti anatroccoli, ma che un po’ tutti avessero certe abitudini. Comunque mi sembra ormai tutto lontano nella memoria».
Anche la Cina s’è allontanata.
«Anni splendidi. Ero stimato, ho vinto, ma non riuscivo più a stare cinque mesi lontano da casa. Adesso mi piacerebbe fare un Europeo, lo confesso, perché mi manca. Magari con una buona squadra, non dico una grande. Chissà».