Umberto Toia, i “Tradizione” e la mappa del potere ultras allo Juventus Stadium

di Redazione Blitz
Pubblicato il 27 Dicembre 2013 - 15:34 OLTRE 6 MESI FA
Umberto Toia, i "Tradizione" e la mappa del potere ultras allo Juventus Stadium

Umberto Toia, i “Tradizione” e la mappa del potere ultras allo Juventus Stadium (immagine del Corriere della Sera)

TORINO – Non si capisce cosa c’è dietro il pestaggio del “presidente” Umberto Toia, capo ultrà della Juventus e leader del gruppo “Tradizione”, se non si fa prima una mappa del potere ultras allo Juventus Stadium.

In una curva, quella juventina, dove chi sta in alto conta di meno e chi sta in basso ha più prestigio e può fare affari con merchandising e organizzazione delle trasferte.

Scrivono Gianni Santucci e Filippo Bonsignore sul Corriere della Sera:

“Black & white. È il nome del bar. E insieme un marchio. Per l’uomo che lo gestisce e per centinaia o migliaia di tifosi che in curva, allo Juventus stadium, a quell’uomo riconoscono autorità indiscussa. Il presidente, è così che chiamano Umberto Toia, 48 anni. Il suo bar-tavola calda è in via Moncalieri, a Grugliasco, sud di Torino, una vetrina affacciata su un piccolo slargo, e dietro un cortile. Il presidente lo hanno aspettato là, nella sera tra il 23 e il 24 dicembre. Un pestaggio. Pugni, calci, bastonate. Toia è rimasto a terra incosciente. Poi lo hanno ricoverato. Qualche frattura; gravi condizioni, ma non in pericolo di vita. La Digos sta seguendo le indagini. Ma la dinamica lascia pochi dubbi: una spedizione punitiva. Che segna una nuova emersione delle violentissime dinamiche all’interno della curva della Juve. Tifoserie che fanno anche «impresa» (con le spranghe in mano, quando ce n’è bisogno). Potrebbe essere questa la cornice dell’aggressione”.

Umberto Toia non è uno qualunque. La sera del 18 agosto scorso, in cui la Juve ha battuto la Lazio aggiudicandosi la Supercoppa, il trofeo era finito nelle mani di Toia, come fosse uno degli undici in campo:

Per capire chi è Umberto Toia bisogna fare un passo indietro, all’afosa serata del 18 agosto scorso. Roma, stadio Olimpico, la Juve ha appena vinto per 4 a 0 (contro la Lazio) la Supercoppa italiana. Premiazione. La squadra si dirige verso i tifosi. I giocatori si passano di mano la coppa. Vidal. Poi Bonucci. Stacco. Le immagini ripartono su uno sconosciuto che, orgoglioso, a bordo campo, brandisce il trofeo fino a che un responsabile della sicurezza della Juve se lo fa restituire. Come fa un capo-tifoseria a festeggiare con una coppa in mano come fosse un giocatore? Quell’uomo è Umberto Toia, e quell’immagine restituisce il senso di una vicinanza, anche fisica, tra molte società di calcio e certi ambienti ultras. «Potrebbe mai accadere una cosa del genere in Inghilterra, magari dopo una finale Chelsea-Liverpool?», riflette sferzante un investigatore.

Quella interna alla curva bianconera è una “guerra di posizione”:

Quella sera Toia indossava la maglietta del suo gruppo, Tradizione. È il cuore di una galassia di altre sigle (Fighters, Antichi valori), che allo stadium occupano la parte bassa della curva, vicino al campo, e che in passato si sono contrapposte a chi oggi sta in alto, al secondo anello, i Drughi.
Quei posti in curva, nell’estate 2011, durante il ritiro della Juve a Bardonecchia, alcuni gruppi se li contesero in una rissa a coltellate. E non perché da un settore si veda meglio o peggio. La posizione vuol dire potere, che significa seguito, e quindi guadagno per i professionisti del tifo. Non si parla di milioni di euro, in curva. Ma buoni affari comunque si fanno. Il commercio è uno di questi. Umberto Toia è ad esempio titolare, con un socio di business e di tifo, di un’azienda di abbigliamento che porta il nome dei «suoi» stessi ultras: Tradizione lifestyle Srl. E poi ci sono le trasferte. Dal loro sito i Drughi pubblicizzano in questi giorni i charter per la partita Juve-Trabzonspor, a fine febbraio in Turchia. La dinamica è semplice. Gruppi ultras come un’agenzia viaggi: per servizi e, di conseguenza, introiti. Possono farlo (succede con molte tra le più grandi tifoserie) perché i sistemi di vendita dei biglietti sono degli imbuti, e chi riesce a gestire una parte dei tagliandi può usare questa leva per «fare impresa».