Maradona a Napoli. Intervista a Luca Ferlaino: quando arrivò davvero, lo sgarro a Bianchi, gli allenamenti…

di Alberto Francavilla
Pubblicato il 27 Novembre 2020 - 10:17 OLTRE 6 MESI FA
Maradona a Napoli. Intervista a Luca Ferlaino: quando arrivò davvero, lo sgarro a Ottavio Bianchi, gli allenamenti..

Maradona a Napoli. Intervista a Luca Ferlaino: quando arrivò davvero, lo sgarro a Bianchi, gli allenamenti.. (Nella foto d’archivio Ansa, Corrado Ferlaino con Maradona)

Maradona a Napoli. Intervista a Luca Ferlaino: dalla vera storia del suo arrivo in Italia agli sfottò a Bianchi in allenamento…

Vivere Maradona a Napoli da vicino, ogni giorno. Non sono in molti ad aver avuto questo privilegio. Ma se sei il figlio del presidente che l’ha portato in Italia, qualcosa da raccontare ce l’hai. Luca Ferlaino è uno dei figli di Corrado, il presidente che portò il Pibe de Oro in Italia e con cui ha vinto 2 Scudetti e 1 Coppa Uefa. Luca Ferlaino è il fondatore di Socialcom, un’agenzia di comunicazione molto attiva nel settore dei new media e della digital communications. BlitzQuotidiano l’ha intervistato in esclusiva.

Luca Ferlaino e la vera storia dell’arrivo di Maradona a Napoli

Luca Ferlaino aveva solo 14 anni quando Maradona arrivò in Italia, ma ricorda nitidamente il primo incontro. Tutto nasce dalle voci sulla lunghissima trattativa di cui ormai si parlava da tempo. “Fu una trattativa molto lunga. La sera prima di incontrarlo venne fuori che tutto era saltato, e anche mio padre credeva che fosse finito il sogno. Invece la sera dopo, io avevo 14 anni, papà mi disse: “Scendi Luca, che ti devo presentare una persona“. Eravamo a Capri e quando entrai in questo albergo in zona centrale, beh, nell’albergo c’era Maradona. Quando ci fu la presentazione ufficiale, tutti pensavano che venisse da Barcellona. E invece era a Capri”.

Ferlaino Jr ricorda che tutto questo probabilmente non sarebbe stato possibile senza la “genialata della busta bianca di mio padre”. L’episodio è stato raccontato qualche anno fa dall’ex presidente in persona. Il calciomercato era agli sgoccioli e mancava ancora il contratto firmato da Maradona. Ferlaino si reca negli uffici della Lega Calcio a Milano e consegna una busta vuota (facendo presumere di aver depositato il regolare contratto). Poi vola a Barcellona, fa firmare Maradona e torna in nottata a Milano. A quel punto con un escamotage si fa accompagnare dalla guardia giurata negli uffici e riesce a sostituire la busta “vuota” con quella “piena”.

Ma quando Maradona è arrivato a Napoli, avevate coscienza che avevate comprato il calciatore più forte della storia? “No, non eravamo ancora consapevoli della sua reale grandezza. Sapevamo che era un giocatore molto molto forte. Aveva fatto grandi cose in Argentina, poi però a Barcellona era andato così così, e aveva anche avuto un brutto infortunio. Al Mondiale dell’82, contro le squadre europee, non aveva brillato”.

Cosa voleva dire vivere Maradona a Napoli?

Che voleva dire vivere ogni giorno Maradona? “Due cose – prosegue Luca Ferlaino – mi hanno colpito:

1 – In allenamento già vedevi che era in grado di fare cose con una semplicità e facilità sconcertanti. Scommetteva con tutti: dal segnare 30 rigori consecutivi a centrare la porta da centrocampo o qualsiasi altra posizione del campo. Non solo: lì capivi la sua importanza nello spogliatoio. Ma in allenamento spingeva tutti a superare i propri limiti. Ti faccio un esempio: quando arrivò Zola, spesso giocavano Maradona, Zola e Careca contro tutti. Maradona invitava Zola a tirare da centrocampo. Zola diceva: “Ma come, Diego, devo tirare da qua?”. E lui rispondeva: “Ma sì, è facile, appena superi il centrocampo prova a tirare in porta”. E così era, era impossibile dirgli di no.

2 – Tu eri convinto di vincere sempre perché avevi Maradona in campo. Infatti l‘obiettivo principale era farlo giocare la domenica. Ti spiego. Quando cominciò a fare le bizze perché non si allenava o si allenava poco e male, partiva il tira e molla con Bianchi (l’allenatore di quel Napoli, nda). Fino a giovedì Bianchi diceva che non avrebbe giocato. Da lunedì a mercoledì si assentava, non rispondeva al telefono.

Poi però giovedì si presentava per giocare la partitella, perché a lui piaceva giocare. Non lo faceva per recuperare la considerazione dell’allenatore ma perché a lui piaceva giocare. Magari giocava con la Primavera perché era in punizione e vinceva contro la prima squadra. E alla fine, la domenica è sempre andato in campo”.

Lo sgarro a Bianchi e lo sfregio Di Fusco

E per farci capire il rapporto burrascoso che c’era tra Bianchi e Maradona (e quanto Diego influenzasse i compagni), Luca ci racconta un aneddoto. Anno 86/87, quello del primo Scudetto. “A fine campionato il Napoli andò a pareggiare con l’Ascoli per far retrocedere il Como (che era la squadra di Bianchi). Allora Bianchi fece entrare Di Fusco (il portiere di riserva, nda) come centravanti in segno di sfregio alla squadra che aveva fatto uno sfregio a lui. Ma questo gesto assunse un significato preciso all’interno della squadra. Da quel momento Maradona, quando voleva prendere in giro Bianchi, durante le partitelle (visto che giocava spesso con la seconda squadra) metteva Di Fusco in attacco per farlo segnare“. E dimostrare che, se avesse voluto, avrebbe vinto anche con Di Fusco centravanti.

“Tra l’altro questo ti dimostra che Maradona poteva fare quello che voleva col pallone. Ma non perché si allenava o si sacrificava, gli veniva proprio naturale. E dimostra che lui poteva vincere le partite da solo. Nonostante fosse un selvaggio, non proprio una persona di cultura e si contornasse di gente discutibile, aveva questa forza, questo carisma, che riusciva a fare delle cose impensabili”.

Quando Maradona convinse Napoli a tifare per l’Argentina

“Come a Italia 90, quando convinse una città a tifare Argentina contro Italia. Aveva solo toccato le corde giuste, dicendo: ‘Come, gli italiani schifano Napoli tutto l’anno e voi ora volete tifare Italia? Chi è che difende i colori di Napoli per tutto l’anno, io o loro?’. E ha avuto ragione: la maggior parte dei napoletani ha tifato Argentina. L’Italia poi ha fatto degli errori strategici: si allenava a Roma, alla Borghesiana, mentre l’Argentina a Soccavo (la sede degli allenamenti del Napoli, nda). L’Argentina usava gli spogliatoi del Napoli al San Paolo, mentre l’Italia quello degli ospiti…l’Argentina praticamente giocava in casa“. Anche se “lo stadio era a prevalenza italiana, perché i biglietti erano stati venduti dall’organizzazione di Italia 90, quindi c’era gente da tutta Italia”. 

Maradona non ha mai avuto particolari problemi nello spogliatoio, riusciva a farsi amare da tutti i compagni di squadra. Dice Ferlaino che “l’unico con cui ha avuto brutti rapporti è stato Giuliani. Ma non so perché. Forse dipende dalla diversa etica del lavoro”. 

Difendere Maradona a ogni costo dalle minacce esterne

Luca Ferlaino ricorda quegli anni folli: “Grazie a Maradona venivano i più importanti giornalisti italiani a Napoli, c’erano sempre le televisioni. Per 7 anni c’è stato un clima di difesa da parte della società, l’obiettivo era far giocare Maradona. Dunque tutto ciò che poteva rappresentare una minaccia veniva lasciato fuori”. Anche perché “aveva questa capacità di contornarsi di gente discutibile, era proprio attratto da questo tipo di persone. Lui non frequentava la Napoli bene, la borghesia napoletana”.

Emblematica la storia della casa: “Aveva una bella casa, grande, con vista del mare… ma non una villa con la sicurezza, il giardino. Aveva una bella casa in un palazzo a Posillipo, come tanti miei amici. Coi soldi che guadagnava avrebbe potuto permettersi qualunque cosa”.

Ma cosa vuol dire che si contornava di gente discutibile? “Un anno prese in affitto un piano dell’hotel Hoyal con parenti, amici e conoscenti. L’hanno devastato”. Quanto al suo essere selvaggio (in senso affettuoso), c’è un altro aneddoto. “Al secondo scudetto papà gli regalò la Ferrari. Lui voleva la radio e l’aria condizionata. E mio padre tentò di spiegargli che una macchina sportiva non ha gli stessi optional di una berlina. Ma lui rispose: “Ingegnè, gliel’hanno messa nel c…”.

Il rapporto tra Maradona e Corrado Ferlaino

Poi si passa al rapporto padre-figlio con il presidente Ferlaino. “Papà è sempre stato tutta una cosa col Napoli, faceva gli interessi del Napoli non di Maradona. Mentre ora De Laurentiis non sta sempre a Napoli, mio padre non poteva andare a prendere il caffè al bar che gli chiedevano del Napoli, di Maradona…

A volte lui (Maradona) lo vedeva come un carceriere, ma mio padre non l’avrebbe mai venduto. Anche quando voleva andarsene (per esempio al Marsiglia), cercava di accontentarlo: gli dava continuamente premi extra, ma alla fine è sempre riuscito a trattenerlo. Mio padre era il capo, per cui Maradona, anche per indole, tendeva ad andargli contro. Maradona dava un sacco di problemi, però alla fine essendo mio padre malato di calcio non poteva non amarlo. Questo lo condizionava”.

Per capire la grandezza del personaggio Maradona, Luca torna ai giorni nostri: “Se pensi che lui è morto in epoca Covid e la notizia della sua morte ha avuto una rilevanza mondiale. Mentre parliamo, in piena zona rossa ci sono le persone vicino allo stadio (a Napoli, dove si gioca l’Europa League a porte chiuse, nda), e nessuno si permette di andare a interrompere le manifestazioni pro Maradona”.

L’importanza di Maradona all’interno della società Napoli è stata indiscutibile: “Ha sovvertito ogni logica: far vincere Napoli non era facile, non c’erano i soldi e la cultura manageriale dei club del Nord”.

Quando Maradona si impuntò per il tartufo

Un aneddoto che ricordi di aver vissuto in prima persona? “Anni dopo, quando venne a Roma a ritirare il premio Fifa, andammo a un ristorante di pesce vicino al Pantheon. Quando arrivammo là lui disse: ‘Voglio il tartufo’. Io tentai di farlo ragionare ma lui si impuntò, e non era neanche periodo di tartufi. Fece uscire tutti di testa ma alla fine abbiamo trovato il tartufo in un albergo di lusso”.

Maradona rompe con l’Italia dopo Italia 90

Ma perché ancora oggi una parte dei tifosi napoletani ce l’ha con Corrado Ferlaino, nonostante sia stato lui a portare Maradona a Napoli? “Quello tra papà e Maradona è stato un grande amore, come tra un uomo e una donna. Un amore fatto di amore, litigi, bisticci. E’ chiaro che ci fosse una chiara distinzione di ruoli: per noi l’importante era che giocasse la domenica”.

Un momento in cui lo scontro si è acuito è stato il 1990: “Dopo la finale dei Mondiali Maradona era molto arrabbiato per la finale (lo stadio Olimpico fischiò l’inno argentino e lui rispose dicendo “Hijos de puta”, nda) e per la squalifica per doping (nel 1991, nda). E mio padre era parte del sistema calcio, visto che all’epoca era consigliere federale“.

Quindi non è casuale la squalifica proprio quell’anno? “Maradona aveva tanti punti deboli, non gli hanno perdonato l’eliminazione dell’Italia nel Mondiale in casa. Era capace di sovvertire tutto, e lo dimostrò anche a Italia 90. L’Italia era più forte e lui l’aveva eliminata. E gliel’hanno fatta pagare. Quando l’hanno squalificato lui si drogava da tanti anni. Ma l’hanno beccato subito dopo i Mondiali…”.

Una storia che si ripete anche quattro anni più tardi. “Anche a Usa 94 se non l’avessero fermato forse avrebbe portato l’Argentina in finale. Ma dopo il gol con la Grecia e quella famosa scena degli occhi da pazzo non dava una immagine edificante e gli Stati Uniti non se lo potevano permettere con la loro moralità. Prima gli americani lo hanno sfruttato per lanciare il mondiale e poi l’hanno cacciato”.