Milan-Barca. Pulci e giganti, Messi e Ibra: se Golia ha paura di Davide

di Warsamè Dini Casali
Pubblicato il 28 Marzo 2012 - 14:19 OLTRE 6 MESI FA

MILANO – Milan-Barca, Ibrahimovic contro Messi, la pulce assassina contro il gigante svedese. Per carità, si affrontano due squadroni, 800 milioni in campo (281 mln contro i 541 degli spagnoli), 11 Coppe dei Campioni nel palmarès (7 a 4 per i rossoneri), una paccata di campionati nazionali (una quarantina in due), 4,7 milioni di incasso a San Siro, record assoluto per uno stadio italiano. Eppure il fascino del duello privato, il brivido della sfida individuale, surclassano l’evento sportivo, il confronto sugli schemi, le tattiche di Allegri e Guardiola, relegando al ruolo di comprimari una ventina tra grandi giocatori e qualche fuoriclasse, tipo Fabregas e il duo Xavi-Iniesta, o Seedorf, Robinho, Nesta.

Il copione annuncia un mito ribaltato, con Davide che spadroneggia dall’alto del suo metro e qualcosa mentre il Golia svedese di due metri si vede lontano un miglio che fa l’arrogante per nascondere la paura. La pulce lo ha già punto. Non è nel suo stile ma all’orecchio di Ibra è già giunta la sprezzatura, “è il numero 1…in Italia”, come a ricordargli la non esaltante esperienza spagnola, dove segnava e vinceva ma non era nessuno. E infatti, grazie al fiuto infallibile per il denaro fresco del suo agente e a un colpo di genio di Galliani, tornò nell’ex campionato più bello del mondo per vincere lo scudetto, specialità che sembra di suo appannaggio privato visto come è andata alla Juventus, all’Inter e infine al Milan.

Ma la paura è il movente privilegiato per commettere il delitto perfetto. A Milano, un Ibra finalmente conscio di avere dei limiti, che c’è chi lo sovrasta pur essendo taccagno con i centimetri, potrebbe finalmente infilare la partita perfetta, la fionda tirata  a puntino per il sasso assassino. I milanisti si astengano magari dal rispolverare il precedente biblico, lì Davide vince all’andata e al ritorno. Fa impressione però immaginare la turba dell’esercito barcelloneta coperto e schierato dietro un mezzo cavaliere che da piccolo era affetto da nanismo. Dentro il bozzolo di quella crisalide si preparavano fausti e mirabolanti eventi fino a che una farfalla argentina non iniziò a tramutare in oro ogni innocuo pallone che circolasse per il prato. I tremebondi dietro il gigante disarcionato dal podio del più bravo e più bello hanno un vantaggio checché ne dica il feroce Zlatan a favor di Gazzetta (“Non abbiamo punti deboli: dobbiamo attaccarli”). Il più forte tra loro è anche il meno attrezzato tra i due campioni nella disfida:  “l’applauso è lo sprone degli spiriti nobili, il fine e la mira dei deboli” diceva un tal Charles Caleb Colton nel 1820, quando ancora si giocava la Coppa dei Campioni.