La dinastia dei Maldini. Christian e Daniel in gol nelle giovanili del Milan

di Redazione Blitz
Pubblicato il 30 Novembre 2014 - 10:12 OLTRE 6 MESI FA
La dinastia dei Maldini. Christian e Daniel in gol nelle giovanili del Milan

Paolo Maldini da calciatore a spettatore (LaPresse)

ROMA – La dinastia dei Maldini. Dopo Cesare e Paolo, un altro Maldini – Christian – è pronto ad affacciarsi al grande calcio dopo l’esordio con gol tra le fila del Milan Primavera contro il Perugia. Molto bene anche il più piccolo della comitiva – Daniel – a segno nella categoria Giovanissimi.

Ne parla La Gazzetta dello Sport in un articolo a firma di Andrea Schianchi.

“Questa è una storia di fa­ miglia che nasce ai confi­ni dell’Italia, al tempo dei Balilla e delle «adunate oceaniche», e arriva fino a noi portandosi dietro quel soffio di ottimismo di cui c’è tanto biso­gno in un momento di crisi. E’ la saga dei Maldini, tre generazio­ni dedicate al calcio: Cesare, Pa­olo e i figli Christian e Daniel.

Una vita intera racchiusa in un rettangolo verde, le linee bianche a delimitare lo spazio, emozioni che s’in­trecciano e diventano gioia, passione, a volte anche dolore. Sulle tri­ bune dello stadio si al­ternano i personaggi della dinastia, a osser­ vare con occhi trepidan­ti i ragazzi che, di volta in volta, laggiù nel campo, cor­rono dietro al pallone.

 È un racconto lun­go che parte dal cortile del «ricreatorio» di Servola, rione di Trieste, dove Cesa­re piantava quattro pali nella terra e trasformava il campo da basket in uno da calcio, e lì passava ore e ore a tirare pedate al pallone.

E dall’estremo oriente d’Italia questa storia arriva a Milano, nel periodo del boom economi­co, e attraversa un periodo di sessant’anni: dal 1954 al 2014 c’è sempre stato almeno un Maldini tesserato con il Milan.

E ora che i due ragazzini, Chri­stian e Daniel, il primo con la Primavera e il secondo con i Giovanissimi, scelgono lo stesso giorno per fare gol, non si può non utilizzare la parola «favo­la».

Perché di favola si tratta, e lo si capisce anche ascoltando la reazione al telefono di nonno Cesare: «Davvero due Maldini hanno segnato? Non ci posso credere, è una notizia meravi­ gliosa. Noi di solito giochiamo per evitare che i gol li facciano gli avversari, invece adesso la buttiamo anche dentro… E’ il segno dei tempi che cambia­ no…».

Lui, il patriarca, segue i nipoti con discrezione: non dà consigli, non mette becco nelle loro decisioni, si tiene in dispar­te. Uno spettatore interessato, ma non invadente. Come de­ v’essere un nonno, anche se si chiama Cesare Maldini e se è stato il primo italiano ad alzare la Coppa dei Campioni, 22 mag­gio 1963, stadio Wembley di Londra, Milan­Benfica 2­-1.

Il passato non deve essere un pe­so insopportabile per chi si sta costruendo un futuro: guai a mettere pressione, guai a pre­tendere la luna, guai a dire «Fai come me!». Quanti figli di padri illustri si sono persi alla ricerca di un’impossibile imitazione.

E quanti figli hanno maledetto i loro padri illustri, perché a por­tare quel cognome proprio non ci riuscivano, troppo deboli per non farsi schiacciare. I Maldini non hanno corso questo rischio, merito del patriarca che con saggezza ha messo figlio e nipo­ ti sulla strada, ha insegnato loro a stare in piedi e poi li ha lasciati camminare da soli.

C’è una frase pro­nunciata recentemente da Pao­lo che è lo specchio di uno stile.
«Dagli anni Cinquanta a oggi c’è sempre stato un Maldini al Mi­lan. Essere capitano dopo mio papà è stato un onore nella mia vita, ci tenevo a farlo. E ora sono orgoglioso di avere due figli che indossano la maglia rossone­ra».

Non dice di più, non preve­ de una carriera come la sua per Christian e Daniel, sa quante trappole si nascondono lungo il sentiero, e sa che chiamarsi Maldini, nel mondo del pallo­ne, non è semplice.

I confronti, i paragoni, le inevitabili smorfie di chi ricorda Paolo, o addirittu­ra Cesare, e dice che quei ragaz­zi di oggi ne devono mangiare di polvere prima di arrivare a q u e i  l i v e l l i .

L’ i m p o r t a n t e , però, è non fer­marsi ad ascol­tare. Secondo la regola sugge­rita da Virgilio al Poeta, «non ragioniam di lor, ma guarda e passa».

Paolo segue i figli, fa da tassista, li porta agli allenamenti, osserva con attenzione le partite, ma non si lascia scappare un com­ mento.

Se Daniel gioca da at­taccante e così può dribblare gli inevitabili paragoni con il pa­dre, per Christian la situazione rischia di essere imbarazzante: è un difensore, proprio come Paolo.

Chissà che cosa si dirà al primo errore, quante critiche e, inevitabilmente, quante mali­gnità! Pensate che a nessuno venga in mente di definirlo «raccomandato»? Paolo lo pro­ tegge dagli spifferi e dalle catti­ verie e, come racconta nonno Cesare, si preoccupa prima di tutto dello studio.

Certo, sareb­be un sogno ve­ derli con la ma­ glia rossonera addosso in una , partita di Serie A, o addirittura in una notte di C h a m p i o n s Christian e Da­niel, la coppa d a l l e  g r a n d  orecchie, l’han­no già alzata due volte:

nel 2003 a Manche­ster e nel 2007 ad Atene. Forse adesso è venuto il loro momento ­ O meglio: sta per arrivare.

Paolo aspetta e osserva nell’om­bra, nonno Cesare pure. Il pal­ coscenico è dei giovani, il passa­ to è soltanto il tempo dei ricordi e i Maldini, da sempre, alla reto­ rica della memoria preferisco­ no i successi della realtà”.