Mourinho: “Tornerei a Milano ma non per salvare l’Inter, Nerazzurri ancora nel cuore”

Pubblicato il 23 Aprile 2011 - 11:22 OLTRE 6 MESI FA

MILANO- Intervista esclusiva realizzata dalla “Gazzetta dello Sport” all’eroe del momento: Josè Mourinho.

Mourinho ha appena trionfato in Coppa del Re. Il Real Madrid non conquistava il trofeo da ben 18 anni. Dopo la vittoria contro il Barcellona Mou ha pensato ai suoi ex tifosi: “I fan dell’Inter saranno felici”.

Mourinho ora è a Madrid ma il “vecchio amore” rimane l’Inter e i suoi tifosi: “Mi interessa l’Inter, il mio amico presidente, i miei amici giocatori e i tifosi che in due anni mi hanno dato tutto. Voglio che vincano dovunque tranne in Champions dove c’è il Real. Chiunque sia il tecnico”.

L’Inter è campione del mondo.
“Una gioia infinita, come la musica del nostro inno. Ed è un orgoglio indescrivibile esser stato l’allenatore di questa squadra, di questi giocatori che, al 99 per cento, sono gli stessi che hanno cominciato la strada verso il Mondiale”.

Più difficile arrivare all’Inter dopo Mancini o dopo Mourinho?
“Anche arrivare dopo Roberto non era facile. Soprattutto nella dimensione italiana, dopo che hai vinto due scudetti più uno… In questi casi devi presentarti senza ossessioni, senza la voglia di cancellare per forza quel che ha fatto il tuo predecessore. E neanche cercare giustificazioni nel passato per i problemi del presente”.

Sembra un discorso molto personale.
“Non mi sono mai preoccupato di come allenava, pensava, giocava Roberto. Eppure arrivavo ad Appiano e lo vedevo, o meglio vedevo la sua foto, a destra della porta del mio ufficio. E andando verso il parcheggio c’era la gigantografia della pagina della Gazzetta che celebrava la sua prima coppa. Per me non è mai stato un problema: ho costruito la mia Inter senza pensare al passato. E questo non vale solo per l’Inter, la storia recente non può essere un fattore di pressione: devi pensare con rispetto”.

Il rapporto con Moratti.

Quella che piace a Moratti.
“Moratti… Moratti è un fenomeno. Mi piace sempre più. Ho imparato a vivere con lui, lui ha imparato ad essere il mio allenatore e vi assicuro che non è facile. Io sono diventato un tecnico più bravo, lui un presidente migliore. Siamo cresciuti assieme”.

Vi sentite sempre?
“Lui mi chiama dopo i momenti belli del Real, io faccio lo stesso. Prima della fine di Inter-Mazembe gli ho mandato un sms di congratulazioni”.

La parola ritorno non esiste nel suo vocabolario?
“Nella mia carriera non è mai successo: c’erano altre porte da aprire e nuove esperienze da fare. Se vogliamo, però, adesso potrei ricominciare: nel curriculum manca soltanto la nazionale”.

Intende il Portogallo?
“Sì. Sarebbe un’esperienza più emozionale che professionale. Perché il c.t. non è il lavoro per cui sono nato: non si possono giocare dieci partite e fare venti allenamenti all’anno. Non fa per me. Sarebbe come far guidare un’auto da rally ad Alonso o la Formula Uno a Sainz. Sono un allenatore da club, tutti giorni, undici mesi all’anno, anzi dodici. Con tre partite a settimana: se c’è un mercoledì libero sono un po’ triste”.

Mourinho in allenamento. Ansa
Mourinho in allenamento. Ansa

Mourinho c.t. succederà?
“Credo di sì, un giorno. Una soddisfazione che mi manca, una cosa che voglio fare per me. Ma prima ci sono i club e ci sarà tempo per tornare in Italia e in Inghilterra”.

Quando?
“Senza fretta. Ho un contratto di quattro anni con il Real e voglio restare a lungo. Al Real c’è tanto da fare, non è soltanto lavoro di campo”.

Quel ruolo alla Ferguson che le piace tanto?
“Non è proprio la stessa cosa, la struttura economico-organizzativa del Real Madrid è superiore a quella del Manchester United, forse non ha eguali. Però al Real faccio più che all’Inter, entro in altre aree della gestione sportiva”.

Magari di nuovo all’Inter o al Chelsea?
“Non posso dire che non tornerò mai. Ma non posso neanche dire che non andrò in un’altra squadra: sono un professionista. Solo una cosa: l’Inter sarebbe sempre davanti. Ma…”.

Ma cosa?
“Spero che l’Inter non abbia mai bisogno di me: vuol dire che avrebbe imboccato la strada sbagliata”.

Più difficile al Real Madrid o all’Inter?
“Non so, non ho mai difficoltà: forse perché so creare empatia con la gente e i giocatori. Arrivato all’Inter c’erano felicità, sorrisi e qualche piccolo problema come in ogni famiglia. Al massimo, dovevo far sì che i giocatori avessero motivazioni per vincere ancora in Italia”.

Come si fa?
“Spiegando che cinque scudetti è meglio di quattro, e sei meglio di cinque. E facendogli credere che era ancora possibile”.