Spalletti e la nuova vita da italo-russo: “Grazie Roma, non sono fuggito”

Pubblicato il 23 Dicembre 2009 - 10:27 OLTRE 6 MESI FA

spallettiLuciano Spalletti è il nuovo tecnico dello Zenit. È passato dalla temperatura mite di Roma al freddo polare di San Pietroburgo, portandosi via dall’Italia ricordi, bel gioco e qualche rimpianto. In un’intervista rilasciata a Repubblica il tecnico toscano spiega le motivazioni della sua scelta e butta un occhio al calcio italiano, vissuto da protagonista ed ora visto da lontano.

“Volevo da tempo un’esperienza all’estero – spiega Spalletti – C’è l’opportunità, l’accetti e basta: l’interesse dello Zenit ha spostato le cose, non altro. Grande società, giovane, che vuol crescere. Città bellissima, monumentale: unica differenza con Roma il clima. E poi non sarò il primo: in Russia andò Scala, Messina ha vinto col basket, a Mosca c’è Pincolini. Porto la famiglia: i bambini alla scuola russa e mia moglie non aprirà negozi, notizia fasulla. Prendo la residenza, voglio imparare il russo e vivere in quel mondo lì”.

Poi il tecnico analizza i problemi del calcio italiano: “A me la passionalità del calcio italiano piace, dopo un mese mi mancava. Ma il calcio migliorerebbe se imparasse la lezione. Penso agli stranieri: noi li arricchiamo in professionalità, il calcio inglese prende lezione da loro. Noi diamo cultura agli altri, gli inglesi la assorbono. Ignoranti purtroppo ce ne sono. Il razzismo è la miglior maniera per far male. Balotelli è un ragazzo esuberante che deve completarsi come campione. Se avesse i capelli castani e le lentiggini troverebbero la maniera di colpirlo comunque: gli stupidi non capiscono che il colore della pelle ha importanza solo se vuoi vederlo. E poi l’Italia ha accolto i campioni più amati senza distinzioni e a braccia aperte”.

Ora con l’arrivo di Spalletti allo Zenit si arricchisce il panorama degli allenatori italiani all’estero (Capello, Zola, Trapattoni, Ancelotti, Mancini). “I tecnici italiani sono bravi e completi. E’ il nostro lavoro che in Italia va rivisto. Io vedo l’allenatore come selezionatore e manager, sarebbe più coerente: qui uno sceglie i giocatori e l’altro li allena. E poi se molti vanno in Europa, se la scuola è riconosciuta, perché tanti esoneri? Perché non ci crediamo? Mezza serie A ha già cambiato. L’allenatore è l’anello più debole. Incredibile che quasi tutti siano nel mirino: ora tocca a Ferrara, ma a volte pure a Mourinho. Ci vuole serenità e pazienza, migliorare gli staff di osservatori, lavorare sulla squadra e non solo sul singolo: così le squadre hanno vita lunga e fanno risultati. Io mi porto dietro il bagaglio di un italiano, sono felice di esportare la nostra cultura. La mia, in ogni caso, non è una fuga”.

Un saluto alla Roma: “La mia città e un pezzo della mia vita. Penso che il mio lavoro sia stato riconosciuto. E’ stata una grande avventura, tante persone con cui ci siamo dati molto. Totti e De Rossi sono la continuità e l’eccellenza della romanità. Perrotta, Taddei, Pizarro e gli altri la qualità e la forza di quel modulo. Inventammo insieme il 4-2-3-0, lo chiamavamo così, Totti con la sua eccezionalità e imprevedibilità dà genialità alla strategia, un attaccante che l’avversario non sa dove sia. Mantengo un rapporto stretto con quella che è stata la mia vita. Io mantengo tutto quello che ho passato”.