Totti giù dal “trono” di Roma? Ma che possa andar via è ancora una bestemmia

Pubblicato il 11 Gennaio 2011 - 15:18 OLTRE 6 MESI FA

Capitano in disgrazia?

Francesco Totti da una parte, la Roma dall’altra. Peggio che il papato ad Avignone. Una roba da non crederci neppure a vederla. Fino alle 17 di domenica sembrava uno scenario da fantascienza, nonostante qualche panchina di troppo e qualche battuta velenosa riservata dal capitano della Roma all’allenatore Claudio Ranieri come quella sul “catenaccio riesumato” dopo la sconfitta di Monaco di Baviera.

Poi ci sono stati quei quattro minuti, il tempo che il mister ha concesso a Totti nella partita contro la Sampdoria. Ed improvvisamente qualcosa è cambiato. Totti ha firmato da poco un quinquennale ma nel calcio conta abbastanza poco. Allora ecco che si parla di offerte dai Los Angeles Galaxy (gli stessi che hanno coperto d’oro David Beckham) pronti a fargli un contratto milionario.

Prenderle sul serio è un azzardo, ma anche il solo pensarle ha un che di oltraggioso. Totti è uno che (forse sbagliando) non se n’è andato al Real Madrid quando di anni ne aveva sette o otto meno di oggi. Lasciare Roma non è uno scenario compatibile con quella che è la storia e il personaggio. Sarebbe peggio del  finale “posticcio” del primo Blade Runner.

Tornando a Genova, formalmente Ranieri ha ragione, è l’allenatore e decide se e quanto un calciatore gioca, prendendosi le sue responsabilità. Ma  solo formalmente. La sostanza è un’altra: il calcio è fatto di decine di regole non scritte che valgono quanto quelle ufficiali, se non di più. Il galateo dice che non si umilia un totem. Di Italia Brasile del 1970 non si ricorda tanto il risultato quanto la mancata staffetta e i sei minuti di Gianni Rivera.

Della bravura di Ranieri si può discutere, ma in ogni caso il “testaccino Claudio” resta un allenatore della Roma. Totti, invece, non è un giocatore della Roma. E’ un’altra cosa. E’ un mito, un condottiero, l’istanza più profonda di riscatto di una città che non si rassegna ad essere parente povera di Inter, Milan e Juve. E’ il giocatore che ha segnato di più, che ha inciso di più. Nella storia del club è certamente il giocatore più importante di sempre. Più di un altro re come Falcao, e scusate se è poco. Anche per questi motivi Totti meritava un trattamento diverso che poteva tranquillamente essere il non entrare affatto (avrebbe fatto discutere, ma molto meno) o l’entrare subito dopo il 2-1 della Sampdoria.

Certo, il rendimento di Totti di quest’anno è al di sotto delle aspettative. E in parte è dovuto a un nemico invisibile e imbattibile: il tempo. Ma a vedere il campo c’è anche altro. Totti non gioca da centravanti perché c’è Borriello e qui si può fare poco. Dove si potrebbe fare di più è nel gioco. Totti è uno che ha dato il meglio di sé nelle squadre organizzate (Zeman e Spalletti solo per fare due nomi) proprio per quella sua capacità di giocare il pallone di prima a memoria e  senza vedere. La Roma di Spalletti era un orologio, con movimenti studiati nei minimi dettagli, quella di Ranieri imita alla perfezione il “moto browniano”, ognuno va dove lo porta il cuore. Il maggior pregio di Totti, cioè  “illuminare, non è più così necessario. Ma come è dura spegnere l’interruttore.  Totti il ruolo se lo è sempre cucito addosso da solo: già il fatto che si sindachi sul suo essere trequartista o seconda punta sa di lesa maestà.

Così Totti si trova all’improvviso giù dal trono, senza sapere bene neanche perché. Un po’ il tempo, un po’ è Ranieri, un po’ è anche quella fetta (minoritaria ma rumorosa) di tifosi della Roma che lo hanno già archiviato come fosse un peso morto che “costa troppo”. Meriterebbero quello che non hanno visto per quasi vent’anni, una Roma senza Totti. Non la meritano, però, tutti gli altri romanisti.