Ultras Genoa, 11 Daspo, 2 turni a porte chiuse. Il “tutti contro tutti”

Pubblicato il 23 Aprile 2012 - 15:05 OLTRE 6 MESI FA

Giuseppe Sculli (LaPresse)

GENOVA – Il campionato del Genoa in casa si è chiuso con la sospensione causa ultras della gara con il Siena. Il giudice sportivo ha infatti deciso che i grifoni giocheranno a porte chiuse le prossime due partite interne. Sentenza solo apparentemente mite visto che sono proprio due le gare interne che rimanevano al Genoa prima della fine della stagione. Due gare probabilmente decisive, vista la situazione di classifica, con un solo punto di vantaggio sulla terzultima, il Lecce.

Così l’ultima immagine dell’anno di Marassi con i tifosi è quella di Giuseppe Sculli che rifiuta di togliersi la maglia.  Ai 60 ultras, subito per la stampa diventati i  “sequestratori di Marassi”  Sculli ha detto no: si è arrampicato sul divisore e ha parlato a lungo con uno dei più esagitati. Ha parlato con la maglietta addosso mentre tutti i compagni “indegni” secondo i tifosi le loro le avevano messe in terra e si erano arresi per la seconda volta in un’ora, prima al Siena e poi a un manipolo di contestatori.  Genoa-Siena sul campo è comunque finita là, quella dopo la sospensione era solo un’apparenza di partita, portata avanti per “motivi di ordine pubblico” e già finita nei fatti.

Il giorno dopo, invece, è quello delle prime identificazioni di tifosi e delle dita puntate: dello scambio di accuse incrociato e della collettiva mancata assunzione di responsabilità.

Vanno intanto avanti le indagini: il questore di Genova Massimo Mazza fa sapere che, per ora, sono già stati identificati una decina di facinorosi. “Sono sicuramente coloro che hanno assunto alcuni comportamenti, questi non sono tifosi, ma violenti ultrà”, le parole del questore. Subito dopo sono arrivati i primi daspo, i divieti di accesso alle manifestazioni sportive. Per ora riguardano undici tifosi genoani che a Marassi non potranno mettere piede per cinque anni. Si muove poi anche la giustizia sportiva con il procuratore Stefano Palazzi che ha aperto un’inchiesta per verificare il comportamento dei tesserati del Genoa nella situazione.

Tra gli ultras di Marassi c’era anche Fabrizio Fileni, uno degli uomini in nero che dagli spalti del Ferraris ha parlato con Sculli durante la sospensione e che oggi ha precisato: “Noi non abbiamo obbligato i giocatori a togliersi la maglia. Glielo abbiamo chiesto perchè la stavano disonorando”.

 

Non si assume nessuna responsabilità Enrico Preziosi che punta invece il dito contro chi dovrebbe arrestare i facinorosi e non li arresta. Non se le assume neppure la Questura che tra le righe, ma neppure troppo, accusa il club di essere stato troppo remissivo nell’accogliere le richieste dei contestatori. Non se le assume neppure il vertice del calcio e dello sport italiano. Anzi. Per il presidente del Coni Gianni Petrucci quello di Genova è il “punto di non ritorno” la colpa non è solo degli ultras ma anche di  “certi presidenti di società, peraltro condannati che dettano l’etica”. Dichiarazione che non ha bisogno di nome e cognome perché è solare che Petrucci alluda in modo frontale proprio a Preziosi.

Petrucci, invece, parla di punto “non ritorno” come se quanto accaduto a Genova fosse un caso unico ed eccezionale, una prima volta da non ripetere. E invece basta avere un minimo di memoria per ricordare che era tutto già accaduto nel 2004, a Roma. Si doveva giocare un derby che invece non si giocò per un bambino morto che invece non era morto. Identica dinamica, svolgimento simile. Forse, dovendo individuare un punto di non ritorno sarebbe stato più utile ricorrere all’archivio.

L’immagine di Sculli rabbioso che punta il dito contro i tifosi stride con quella delle altre maglie stese a terra e del compagno di squadra di Sculli, Gian Domenico Mesto che mestamente piange. Immagine che a sua volta stride anche con le parole del presidente del Genoa Enrico Preziosi. Parole del giorno dopo, quindi in teoria meditate, pronunciate a mente fredda. Parole che legittimano la resa: “Ieri si è usato il buon senso perché non accadesse qualcosa di peggio, tiravano bombe carta in campo. Ho solo detto che se le maglie da dare ai tifosi sarebbero state sostituite da altre maglie, le avremmo regalate per far stare tutti tranquilli”.

Peccato che a quella resa la polizia fosse contraria e lo avesse fatto ben presente alla società. Lo ha spiegato il questore Massimo Mazza: “I giocatori non avrebbero mai dovuto consegnare le maglie. Il mio vicario era in campo. E’ stata una decisione della società, resa col consenso del presidente Preziosi. Mai fare un gesto così”.

Per il presidente della Federazione Giancarlo Abete, invece,  “non è pensabile che il mondo del calcio ceda a un ricatto davanti a soggetti identificabili e sanzionabili. Il problema è che questi episodi vanno denunciati, non si può dire sono sempre gli stessi, altrimenti scatta un meccanismo omertoso che puo’ creare danni al mondo del calcio”.

Abete chiede quindi ai club di assumersi la responsabilità di fronte a certa parte della tifoseria: “Vanno denunciati e perseguiti”.Anche il presidente Federale, quindi, non si esime dal dispensare consigli e individuare “altri” che devono far qualcosa.

Le immagini cui si aggrappa il Genova, a questo punto, sono due: quella della tigna e dell’orgoglio di Sculli e quella di Luigi De Canio, allenatore della disperazione che arriva oggi direttamente a Milano che avrà 24 ore contate per preparare subito una partita sulla carta impossibile, la trasferta nella tana del Milan. Cinque partite e con ogni probabilità nessuna in casa. Marassi, il teatro della vergogna ultras, sarà certamente off limits ed è probabile che il Genoa sia costretto a finire il campionato giocando altrove e a porte chiuse. Visto il rapporto coi tifosi, però, per il Genoa come ha riconosciuto domenica sera Preziosi, è anche meglio così.