Vancouver 2010: Carolina Kostner 16° posto, lacrime e cadute

Pubblicato il 26 Febbraio 2010 - 11:23 OLTRE 6 MESI FA

Carolina Kostner

Non è bastato volare in America, entrare nella fucina sforna-campioni, dotarsi di un ‘mental coach’ per mostrare il talento e scacciare i fantasmi del passato.

L’incubo fatto di cadute e umiliazione si è materializzato ancora, come un brutto ‘deja vu’: in meno di cinque minuti si è consumato il nuovo, l’ennesimo, dramma sportivo di Carolina Kostner.

La sua seconda volta ai Giochi è peggio della prima, così brutta da non sembrare vera: e invece la nuova Carolina, come si era definita appena sbarcata a Vancouver via Los Angeles, la campionessa d’Europa è ripiombata nel tunnel, quello in cui era finita a Torino, nelle Olimpiadi da portabandiera, chiuse al nono posto tra mani sul ghiaccio e gambe contro la balaustra.

Stesso film senza lieto fine anche al Mondiale choc nel 2009 in America: dodicesima, e decisa a voltare pagina, cambiare aria, lasciare l’Europa per ritrovare se stessa oltreoceano.

La rinascita sembrava in atto, e invece sul ghiaccio del Pacific Coliseum l’azzurra, che già doveva recuperare il modesto settimo posto ottenuto dopo il programma corto, ha sbagliato tutto, ed è finita addirittura sedicesima: il suo libero è poco più che accennato, costellato di cadute, passaggi saltati e salti nemmeno cominciati.

Un disastro. Che comincia ancora con le mani poggiate a terra all’uscita della prima combinazione, poi la caduta sul triplo flip, Carolina si rialza e cade ancora sul doppio axel: e allora la musica di Bach va in una direzione e la pattinatrice prova disperatamente a inseguirla.

Ma è difficile riprendere le fila, c’é sequenza di spirali, una piccola boccata d’aria, e poi ancora sul ghiaccio su un altro triplo. Della sua lunga combinazione di avvitamenti se ne salvano un paio: poi c’é solo la voglia di finire, di sparire, di togliersi da quell’arena impietosa.

Chiude con la testa piegata sulle gambe e le mani tra i capelli, costretta a fare l’inchino, quando avrebbe voluto solo una spalla su cui piangere. Il punteggio non perdona: 151.90, con tre penalizzazioni.

Scivola in fondo, tra le ultime, nella serata che incorona la prima, la regina Kim Yu Na, 19 anni, il giunco che incanta e non sbaglia, che regala il primo oro alla Corea del Sud, che fa schizzare il punteggio su cifre ancora inesplorate (228.56, record assoluto), che esegue senza esitazione un triplo lutz più un triplo toeloop, atterrando senza lasciare traccia sul ghiaccio.

Nemmeno il triplo axel da annali basta a Mao Asada per insidiare il primato a Kim: la giapponese, complici anche due sbavature, deve accontentarsi dell’argento.

Festeggia il bronzo la beniamina di casa, Joannie Rochette: della sudcoreana è stata premiata la perfezione, della canadese anche il coraggio di essere scesa in pista con la morte nel cuore, per la scomparsa improvvisa della mamma, tre giorni prima della gara.

In mezzo a tanto show la debacle della Kostner è peggio di un pugno nello stomaco. “Sento che non posso arrendermi così, perché me lo merito e per la gente: voglio far vedere quanto so pattinare bene – dice l’azzurra, lo sguardo smarrito e la voce rotta dal pianto – Non era il mio momento, ma dovrà arrivare.

Un atleta diventa forte con le sconfitte, viste tutte quelle che ho subito il mio futuro sarà brillante. Non bisogna arrendersi, fa solo male”.

Eppure su di lei si era investito: il trasferimento alla corte di Frank Carroll (ma il guru americano non si è mai visto al fianco dell’azzurra, mentre si è beato al ‘kiss and cry’ del sorprendente quarto posto della ragazzina finita nella sua corte Mirai Nagasu, 16 anni e un futuro da podio), i 120 mila euro di costi. “Il talento non l’ho perso, devo solo farlo venire fuori.

L’importante è rialzarsi, il mondo non si ferma Magari vado a mangiare un hamburger da Mc?.”. Ma non è giorno di battute. “Devo cancellare subito tutto, e pensare a combattere, con la gioia di sempre”.

A Vancouver sarebbe stato meglio stare sugli spalti a tifare le altre, ma lei, Carolina è “una pattinatrice, non una spettatrice. Vado bene o male, vado avanti perché questa è la mia passione. Non sono balle, io ci credo, io il talento ce l’ho.

E’ solo un giorno andato male, ma non lo augurerei a nessuno”. Già, ma un incubo e un film già visti. Lieto fine è ancora da scrivere, l’America non regala sogni.