Elezioni, tu che scontento voti? Grillo, Berlusconi, Bersani…

di Mino Fuccillo
Pubblicato il 22 Febbraio 2013 - 12:17| Aggiornato il 25 Luglio 2022 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Dal mattino di domenica 24 fino alle 15 di lunedì 25 lo si va a fare nei seggi elettorali, in realtà sono settimane, anzi mesi, anzi già quasi tre anni che gli italiani votano ogni giorno il loro scontento. Da quasi tre anni, da quando si è cominciato a toccare con mano che i disastri finanziari, la crisi dell’economia, il piegare le ginocchia di un sistema anche sociale politico basato non tanto sul debito quanto sull’assioma che quel debito nessuno lo avrebbe pagato mai, da quando la “gente” ha cominciato a sperimentare che tutto questo non era un titolo di giornale e non mi riguarda…

Da allora gli italiani hanno cominciato a votare il loro scontento. Scontento per essere coinvolti in quel che accade sul pianeta Terra e soprattutto scontento perché non erano subito accorsi Santi in Paradiso nostrani ad esentarci e coprirci da tale fastidio e calamità. L’ultimo “santo in paradiso” del genere era stato fino al 2008/2010 Silvio Berlusconi. Infatti era stato abbondantemente votato nel 2008: 37 e passa per cento solo per lui, senza contare gli alleati. E non era stato certamente votato sull’onda di un qualsivoglia scontento, anzi era un far ressa festosa alla porta di ingresso appunto di una festicciola di massa. Poi però Berlusconi non aveva “coperto” ed esentato gli italiani dal dover vivere nel mondo.

Ci aveva provato, eccome se ci aveva provato. Ma nel provarci aveva causato guai ancora più grossi: qualcuno ricorda come nasce la maledetta estate 2011, quella in cui l’Italia stava facendo bancarotta? Berlusconi aveva perso le precedenti elezioni amministrative, decise, fece sapere agli italiani e al mondo che lui, per non perdere altre elezioni, avrebbe “coperto”, esentato, insomma avrebbe consentito agli italiani di continuare come prima, proprio come prima che il mondo intero scricchiolasse e un po’ si inclinasse su se stesso come una Torre di Pisa che forse pende e non cade mai ma forse invece cade davvero. Berlusconi decise di somministrare garanzie e soldi che non aveva  al popolo elettore perché non si deprimesse nello scontento e scontento non esprimesse. Fece sapere al mondo e agli italiani che gli italiani non avrebbero pagato una lira, pardon un euro.

E fu il disastro: appresa questa “nuova” nessuno sul pianeta volle più metterci un euro sulla casella Italia e fu la “perfida Europa” ad impedire che andassimo a mendicare per trovare nella seconda metà del 2011 i soldi per pagare tutto, proprio tutto, dalle pensioni ai treni. La “perfida Europa” ci finanziò allora con 103 miliardi di euro, trenta garantiti dal contribuente tedesco, venti da quello francese e via ripartendo.

Ma chi se lo ricorda e comunque ricordarselo sarebbe un ingombro al nostro scontento. Che è vivo, forte e lotta e vota insieme a noi, a tutti noi, comunque votiamo. Accade sempre e ovunque che quando un paese va al voto una parte più o meno rilevante di esso voti per scontento e protesta. Talvolta è la maggioranza, talvolta è la minoranza. Nel primo caso si cambia governo, nel secondo no. Ma accade di rado e di certo in nessun luogo accade come oggi in Italia che tutte le scelte di voto, tutte le motivazioni di voto esposto, tutti i “sentimenti” alla base di qualunque opzione di voto siano riconducibili e assimilabili alla sola matrice dello scontento.

Siamo un po’ miracolosamente tutti scontenti e ci dividiamo, tra un po’ ci conteremo sulla base della domanda: tu per che scontento voti? C’è qualcosa di profondissimo e di remoto, come un cervello ancestrale, nel nostro organismo sociale. Quel qualcosa per cui se l’Italia rischia la bancarotta, allora il nostro istinto ci dice di pensare: l’Italia, mica io! Mica mi chiamo Italia io! Qualcosa per cui se c’è un debito o anche un giardino pubblico noi subito, d’istinto pensiamo: se è pubblico io che c’entro, non sono fatti miei. Diffidiamo, perfino odiamo lo Stato come decine di milioni di teorici e praticanti del capitalismo selvaggio e contemporaneamente vogliamo uno Stato più che socialista nell’assisterci. Assisterci come paese? No, assisterci come famiglia, possibilmente con nome e cognome.

Questo cervello ancestrale, questo nostro istinto profondo e remoto ha lavorato moltissimo negli ultimi tre anni. Anzi, diciamola tutta, si è “mangiato” l’altra parte del cervello, quella più contemporanea. Quindi siamo emotivamente, sentimentalmente, cervelloticamente, socialmente, elettoralmente scontenti. Tutti.

Scontento, scontentissimo è il voto per Beppe Grillo. Talmente scontento da aver maturato un obiettivo, traguardo, valore: cacciamoli tutti. Più scontento di così…A Grillo si oppone il trito argomento per cui oltre alla protesta ci vuole la proposta. Flebile pigolio di chi non sa cosa dire. A Grillo, anzi al voto per lui andrebbe invece fatta una domanda. Cacciati via tutti i politici, cacciata via anche la Pubblica Amministrazione peggiore e più dannosa del mondo? Cacciati via anche gli evasori fiscali più numerosi e sfacciati del mondo? Cacciati via anche gli imprenditori più conservatori del mondo nell’investire in tecnologie? Cacciato via anche il nanismo della gran parte delle nostre imprese? Cacciato via anche il corporativismo ottuso di sindacati dei delavortori dipendenti, dei pensionati e delle organizzazioni di professioni e mestieri? Cacciata via anche una pedagogia che ha desertificato scuola e università di ogni sapere e competenza? Cacciato via anche il nostro studiare poco e male, produrre poco e vecchio?

Fosse possibile Camera e Senato andrebbero davvero sgombrate e lasciate tutte ai “grillini”. Si accorgerebbero che per cambiare davvero l’Italia devono cacciare non mille parlamentari ma milioni di italiani in carne e ossa. Perché milioni sono quelli che amministrano male la giustizia, la Pubblica Amministrazione, le filiere commerciali, il risparmio, l’investimento, la produzione, la sanità, la previdenza. Amministrano male…grazioso eufemismo per dire che a milioni dentro questo “male” ci sono stati comodi per anni e anni e ora sono scontenti anche loro perché vogliono fortemente vogliono continuare a starci come prima. Lo scontento “grillino”, massimo e montante, si fonda sulla certezza che i “cattivi da cacciare” siano pochi e comunque non siamo…noi. Noi chi? Gli italiani! E allora i “cattivi” da dove vengono, chi sono? E qui lo scontento diventa arte della sublimazione: siccome sono scontento mi assolvo da ogni responsabilità, io non c’entro, sono forse italiano io?

Anche il voto per Silvio Berlusconi è voto ad alta intensità di scontento. Scontento perché non posso come prima…mandare avanti l’aziendina con la svalutazione, l’inflazione e l’evasione. Scontento perché il mondo mi chiede competenza, innovazione. E io sono vecchio, vecchio nell’anima oltre che nell’anagrafe. Il voto a Berlusconi è straziante come il ricordo edulcorato e insieme rancoroso che un vecchio ha di una mitica età dell’oro della sua vita che in realtà non è mai esistita. Al netto del voto “cialtrone” che pure da queste parti c’è, è un voto scontento-bilioso, un grido di protesta contro il mondo contemporaneo.Qualcosa che è sempre stato nella cultura delle destra italiana, quel qualcosa che ha sempre impedito che in Italia esistesse una destra appunto contemporanea al suo tempo.

Di scontento si avvale anche il voto per Bersani e Vendola. Scontento per l’erosione dell’unico pilastro e fonte di giustizia sociale che la sinistra in Italia conosca e pratichi: la spesa pubblica. E scontento, un po’ meno nobile, perché alcune sociali zone “franche” della sinistra, dipendenti pubblici e pensionandi, insegnanti e funzionari dei governi locali, sono stati toccati. Scontento per aggiustare e non per scassare come diceva lo striscione che salutava a Napoli in piazza Bersani, comunque scontento e richiesta a gran voce di raddrizzare, tornare al dritto, anzi diritto di prima.

Di scontento si nutre il voto per Ingroia e perfino quello per Monti ha alla sua radice una forma snob di scontento: scontento disperato per quello che faranno dal 26 febbraio in poi i partiti di prima e quello di oggi, cioè Pd, Pdl e M5S.

Quindi votiamo, contiamoci e vediamo quale scontento vince. Cito dal Corriere della Sera di venerdì 22 febbraio: “Impossibile riorganizzare la Pubblica Amministrazione all’insegna del merito e dell’efficienza. Impossibile rivedere il catastrofico ordinamento regionale. Impossibile rivedere le leggi dappertutto eccessivamente permissive approvate. Impossibile rifare la scuola sempre più sfasciata. Impossibile togliere le rendite, i privilegi, gli abusi o semplicemente ridimensionare i benefici a cui il paese si è abituato…chiunque ci prova paga di sicuro un prezzo elettorale catastrofico”.

Infatti non ci prova nessuno e tutti ci offrono invece un tipo o l’altro di scontento in cui riconoscersi o tuffarci. Sommo le “impossibilità italiane” di Ernesto galli Della Loggia con le elezioni dello scontento e ne ho una sola risultante sicura. Stiamo per lanciare il sasso, la freccia, la lancia, il macigno, il razzo del nostro scontento sotto forma di voto. Ci sono ben cinque scontenti possibili diversi tra loro da far nostri, senza considerare le sotto varianti. Ma che sia sasso, freccia, lancia, macigno o razzo il nostro scontento scagliato e partito nell’urna elettorale ci rimbalzerà in faccia. E farà male, la questione è solo quanto male.