Giorgio Albertazzi morto: simbolo dell’Italia andata oltre

di redazione Blitz
Pubblicato il 28 Maggio 2016 - 11:27 OLTRE 6 MESI FA
Giorgio Albertazzi morto. Addio a pezzo di storia del Teatro

Giorgio Albertazzi morto. Addio a pezzo di storia del Teatro

ROMA – Giorgio Albertazzi è morto e con lui se ne va un pezzo di storia del Teatro italiano del Novecento. L’attore e regista, ormai 92enne, si è spento questa notte nella sua casa di Pia De’ Tolomei, in Toscana. Ad agosto avrebbe compiuto 93 anni.

Albertazzi ha dominato letteralmente la scena, del teatro, del cinema, della tv, contendendola, palmo a palmo, all’altro grande mattatore, Vittorio Gassman. Per anni gli italiani si sono divisi fra chi preferiva lo stile iper istrionico di Gassman, immortalato da Brancaleone, che portò nelle case degli italiani della prima tv Rai in bianco e nero i grandi della poesia, da Dante Alighieri a Gabriele D’Annunzio e chi invece preferiva quello più pacato, bilanciato, anche un po’ internazionale, di Giorgio Albertazzi.

Difficile scelta: entrambi sono stati due grandissimi.

Gassman e Albertazzi non hanno solo impersonato per gli italiani, anche quelli che il teatro lo hanno visto solo in tv, due stili di recitazione. Hanno anche riassunto e tradotto nel mondo dello spettacolo le due anime che hanno lacerato la povera Italia nel primo mezzo secolo del novecento: Gassman era mezzo ebreo e antifascista, Albertazzi fu attivo nella Repubblica di Salò e rimase due anni in carcere dopo il 1945. Dei loro rapporti con la Rai non si trova memoria con una rapida ricerca su internet, ma c’è chi ricorda che Albertazzi subì un periodo di emarginazione per il suo passato fascista. La vinse lui, perché riuscì a vivere tanto da vedere gli eredi di Salò portati al Governo e al comando della Rai da Berlusconi.

Di tutto questo non c’è traccia nel diluvio di dichiarazioni seguito alla notizia della sua morte ma si può dire che si tratta di un valore positivo, quasi un simbolo di una Italia pacificata e unita nel dolore, che ha superato, almeno a questi livelli di popolarità e successo, le lacerazioni del secolo scorso.

Naturalmente il premier Matteo Renzi lo ha salutato alla inaugurazione della Biennale di Venezia: “E’ mancato un grande italiano, artista classico e controcorrente”. Ma anche altri esponenti della sinistra, con qualche precedente di schieramento, come Piero Fassino (sindaco di Torino) e Laura Boldrini (presidente della Camera), hanno glissato sui precedenti e hanno fissato il cordoglio sull’attore.

Albertazzi è approdato sui palcoscenici dopo una controversa esperienza politica, Nel 1943 l’attore ha infatti aderito alla Repubblica di Salò e nel 1945, dopo la sconfitta della Rsi, è stato arrestato con l’accusa di collaborazionismo e di avere comandato, nei giorni immediatamente precedenti la Liberazione, un plotone d’esecuzione. Fu liberato nel 1947 grazie alla cosiddetta “Amnistia Togliatti“.

Toscano doc, nato a Fiesole il 20 agosto 1923, Albertazzi aveva debuttato nel 1949 con “Troilo e Cressida” di Shakespeare, sotto la regia di Luchino Visconti. Due anni dopo è al cinema col film “Articolo 519 Codice Penale” di Leonardo Cortese. L’anno dopo recita sia nel “Don Camillo” di Julien Duvivier che nel “Mercante di Venezia” di Pierre Billon e Giorgio Capitani.

Poi, con la radio e la televisione arriva anche la notorietà. Il quotidiano la Repubblica ne ripercorre la carriera:

Nel 1954 fu protagonista dello sceneggiato Rai Delitto e castigo, tratto dal capolavoro di Dostoevskij, e in cui recitava al fianco di Diana Torrieri e Bianca Toccafondi, regia di Franco Enriquez.

Nel 1956  l’attore toscano fu protagonista in altre prose tv, come Gli spettri di Henrik Ibsen, per la regia di Marco Ferrero, e nel Lorenzaccio di Alfred De Musset. Fino al 1961, anno in cui figura nel cast del film “Morte di un bandito”, Albertazzi fu presente nel cast  di  tutti gli sceneggiati di successo prodotti dalla televisione pubblica, come il Re Lear, L’idiotaLo zio Vania e molti altri.

Tra il 1969 e il 1970, Albertazzi passò alla regia in tv e al cinema. Per la Rai diresse e interpretò Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde, ottenendo un enorme successo. L’anno dopo invece diresse il film Gradiva, dove recitò al fianco di una giovane Laura Antonelli.

In televisione tornò poi nel nel 1974 con la serie Philo Vance, indossando i panni dell’investigatore creato da S.S. Van Dine. In quello stesso anno recitò nel film La nottata di Tonino Cervi.

Da questo momento in poi si dedicò quasi esclusivamente al teatro, pur con qualche apparizionesugli schermi del cinema. In televisione tornò solo nel 1989, con una sua opera, Gli angeli del potere.