Aldo Grasso contro Mauro Masi a Porta a porta. Ma non nota l’attacco rancoroso di Bruno Vespa a Franco Siddi

Pubblicato il 21 Ottobre 2010 - 10:32 OLTRE 6 MESI FA

Aldo Grasso ha scritto un articolo per il Corriere della Sera dedicato alla puntata di Bruno Vespa in cui è stato trattato il “vaffa” di Santoro e alla quale ha partecipato anche il direttore generale della Rai, Mauro Masi. La puntata ha avuto un momento quasi esilarante quando Masi, come Cenerentola, è uscito di scena allo scoccare della mezzanotte, dicendo di avere “un impegno istituzionale”.

Sulle prime uno ha pensato, conoscendo Masi, che si trattasse di qualche soubrette. Poi, ripensandoci, uno si è ricordato che Porta a Porta viene registrata nel tardo pomeriggio e che quindi Masi avrà abbandonato il collegamento in un’ora decente per una qualche serata romana, anche decente.

Se uno però vuole illudersi che un programma così non sia seguito solo da un ristretto numero di addetti ai lavori ma da normali cittadini italiani, immaginate l’effetto devastante sul rispetto verso l’establishment romano di una affermazione del genere sulla psiche di uno spettatore già nel dormiveglia nel tepore della sua poltrona a Bolzano o Vercelli o Catanzaro. O una reazione di compassionevole provincialità: guarda che vita deve fare quel poveretto, è mezzanotte e ancora lavora, altro che Roma ladrona!

Grasso invece è senza pietà e parla, facendo rivoltare Orwell nella tomba per l’indegnità del soggetto in carne e ossa rispetto al modello letterario, del “Grande fratello Mauro Masi”.

Prosegue Grasso: “Da non crederci: il direttore generale della Rai era ospite di Bruno Vespa per parlare male di Santoro. Al diavolo, la Marcuzzi può attendere! Credo sia la prima volta nella storia della Rai che un direttore generale partecipa così a lungo a un programma per parlare di problemi aziendali, per istruire un processo in contumacia (in verità era già stato da Paragone, ma, data l’audience, nessuno l’aveva notato). Le future storie della tv registreranno che nell’anno 2010 lo stile ha definitivamente abbandonato Viale Mazzini. Quanto meno cadrà l’accusa rivolta a Santoro di uso del mezzo tv a fini personali. Qui tutti usano la Rai a fini personali”.

Di intrecci di vicende personali in una vicenda, quella di Santoro e della sua corrida con la Rai e Masi, che edificante proprio non è, non ci sono solo quelli individuati da Grasso, ma c’erano, quella sera lì, anche  quelli stessi di Grasso e quelli, ideologici e di risentimento personale, di Vespa.

Diifficile infatti è leggere Grasso, per chi abbia un po’ di memoria, senza una qualche perplessità sull’animo con cui scrive e senza pensare che lui fu, per un breve periodo, alto dirigente Rai, capo della radio, ai tempi dei “professori”, un gruppo di intellettuali di prevalenti tendenze di sinistra che approcciarono la Rai con fresco piglio scautistico ma fecero una sola scelta azzeccata, quella di nominare direttore generale Gianni Locatelli, persona tanto capace (il successo del Sole 24 ore di oggi è figlio suo, con Alberto Mucci e Fabio Luca Cavazza) quanto modesta (al punto che Wikipedia non ha una voce a suo nome), ormai scivolato  nell’oblio che tutto travolge, tanto che ormai pochi lo ricordano.

Fu Locatelli a risanare la Rai, a metà degli anni ’90, unico periodo in cui i conti della Rai andarono a posto. Locatelli andò via troppo presto e da allora sul suo lavoro hanno prosperato, fino agli scempi più recenti, tutte le gestioni successive. Letizia Moratti, installata in Rai da Berlusconi dopo il primo trionfo elettorale, visse di immeritata rendita sui risultati di Locatelli per anni e solo la scricchiolante gestione di Milano ha poi ridefinito i valori effettivi.

Poi c’è Vespa. Vespa è un grande, anzi grandissimo professionista e i risultati di audience e tenuta nel tempo lo dimostrano e ancor più lo dimostra il fatto che la sua trasmissione, da quasi vent’anni a questa parte, è diventata un pezzo di Parlamento. Se le leggi si continuano a fare alla Camera e al Senato, in attesa di una riforma dei regolamenti che ci riporti ai decreti legge con cui Mussolini governava l’Italia, è da Vespa che si svolge il vero dibattito politico, davanti a milioni di spettatori e non nelle aule sorde e grigie davanti a pochi distratti parlamentari in simbiotico rapporto col telefonino in mood silenzioso.

Vespa ha patito molto e ingiustamente, per una sua frase di quelle che tutti pensano ma nessuno può dire, quando affermò di seguire in Rai le direttive del principale azionista, all’epoca la Dc: i giornali  lo massacrarono, ne fecero il capro espiatorio virtuale di una polemica ideologica, fini a quando, anche sull’onda delle sue incaute parole, Vespa venne spodestato dalla direzione del Tg1 e diventò, all’epoca dei “professori”, una specie di lebbroso. Agli auguri di Natale aziendali del ’93, raccontarono testimoni oculari, Vespa stava in  un angolo del salone, solo solo, senza che un solo cane avesse il coraggio di rivolgergli parola per timore di scomunica.  Fu un periodo breve perché la vittoria di Silvio Berlusconi nel 1994 riportò Vespa all’onor del mondo e alla sua rinascita contribuì in modo decisivo anche la sinistra, ma ormai  senza la gratitudine che invece da allora è andata inequivocabilmente e inesorabilmente a Berlusconi.

Quei mesi di emarginazione hanno segnato tutta l’attività professionale successiva di Vespa e spiegano, se non giustificano, il suo successivo eccessivo appiattimento su Berlusconi, tante altre cose che è pleonastico elencare in questa sede  e le sue cadute di stile, ben nascoste dalla capacità professionale all’occhio dello spettatore, anche di sinistra, politici in testa, più  boccalone.

Quel cupo rancore che Vespa cova da quasi vent’anni e che ciascuno di noi può comprendere pensando a se stesso è emerso incontenibile nella serata su Santoro, al punto da indurlo ad aggredire l’innocente Franco Siddi, segretario della Fnsi, il sindacato unitario dei giornalisti italiani, presente con onore in trasmissione, un po’ come il lupo se la prese con l’agnello per le colpe, in quel caso mai commesse in questo reali e ormai parte della nostra microstoria, da un defunto padre.

Uno come Vespa non deve permettersi simili cadute di stile, piazzatine degne dei suoi molti avversari, ma non di un giornalista che ormai ha un posto nell’albo d’oro della tv mondiale.

Questa parte purtroppo non è stata notata da Grasso, accecato dal suo giusto sdegno verso Masi. L’articolo comunque è interessante come pochi e  se ne consiglia la lettura integrale qui.