Festival di Sanremo, il monologo che divide. Favino: “Parla a chi si sente escluso”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 12 Febbraio 2018 - 09:59 OLTRE 6 MESI FA
Favino emoziona con il monologo di Koltés a San Remo. E divide

Festival di Sanremo, il monologo che divide. Favino: “Parla a chi si sente escluso”

ROMA – Accolto da un grande applauso del pubblico, Pierafrancesco Favino ospite di Che Tempo che fa è tornato sul monologo dell’ultima puntata del festival di Sanremo tratto dallo spettacolo che lui stesso ha portato a teatro “La notte poco prima della foresta” di Bernard-Marie Koltès, che ha suscitato l’entusiasmo del pubblico e anche qualche critica di parte politica perché interpretato come un monologo a favore dei migranti.

Favino ha commentato: “È un testo sull’estraneità in generale. La mia politica è solo quella di capire le emozioni. Quella paura lì che se ti muovi ti sparano addosso era anche la mia nello scegliere di fare Sanremo”. Alla domanda se sta pensando di rifare Sanremo l’anno prossimo ha risposto ridendo “Chi? Ma sei matto?”.

Se per Salvini e Gasparri la performance è stata uno spettacolo “penoso”, per Calderoli ha rappresentato un mega-spot per il Pd, stessa riflessione di Rampelli che mentre incensa il “grande attore” Favino si chiede “chi gli ha preparato il testo, qualcuno iscritto al Pd, magari proprio il responsabile del programma immigrazione…”. E, forse, al di là del rifiuto automatico per questioni di botteghe politiche di appartenenza, lo scandalo a Sanremo è stato proprio l’irruzione di un testo teatrale forte, un capolavoro della drammaturgia contemporanea sfuggito alla nicchia per abbracciare la vasta platea nazionalpopolare. Uno scandalo e un miracolo. Teatro di parola, senza il bilancino dell’opportunità politica contingente. Come ha ribadito Favino al Corriere della Sera, idealmente rispondendo a Salvini che si lamentava del fatto che in Italia i migranti facciano più notizia dei terremotati.

“In realtà quel testo non parla di migranti, ma di estraneità, del sentirsi straniero in un Paese. È un discorso che vale anche per tutti i ragazzi italiani che sono costretti ad andare a lavorare all’estero per trovare opportunità: è importante sentire di appartenere a qualcosa, invece succede a tutti di sentirsi esclusi. È un testo che parla del lavoro e delle difficoltà che viviamo tutti i giorni; un brano scritto nel 1977, ma ancora attualissimo”. (Corriere della Sera)