L’Aquila – Grandi Speranze, D’Alessandro (Pd): “Una fiction troppo finta per un dolore reale”

di Gianluca Pace
Pubblicato il 19 Aprile 2019 - 14:18| Aggiornato il 20 Aprile 2019 OLTRE 6 MESI FA
Le prime due puntate della serie "L'Aquila - Grandi Speranze" sono andate in onda martedì 16 aprile. La fiction, uscita a dieci anni dal terremoto del 2009, è diretta da Marco Risi

Le prime due puntate della serie “L’Aquila – Grandi Speranze” sono andate in onda martedì 16 aprile. La fiction, uscita a dieci anni dal terremoto del 2009, è diretta da Marco Risi.

ROMA – Il 16 aprile sono andate in onda le prime due puntate della fiction Rai “L’Aquila – Grandi Speranze”. La serie è temporalmente ambientata nel settembre 2010. Un anno dopo, quindi, il terremoto del 6 aprile del 2009 che causò 309 morti. Il deputato abruzzese Camillo D’Alessandro (Pd) ha definito la fiction una “vergognosa rappresentazione di quei giorni”.

Cosa non le è piaciuto della fiction?

“A parte la fedele ricostruzione storica che non c’è per nulla, cosa che può anche essere compresa nella logica di una fiction, quello che non può essere accettato, anche restando in questa logica, è il rappresentare i ragazzi di L’Aquila organizzati in bande. Bande che accedevano all’area rossa. Area rossa che tra l’altro era inaccessibile in quei giorni. Questi ragazzi poi nella fiction vengono rappresentati come dei bulli. Ma la cosa più scandalosa è vedere questi ragazzi raffigurati anche come piccoli sciacalli. In questa serie vediamo i ragazzi andare nelle varie case a frugare e a rubare nelle case del centro storico. Case terremotate. Case che invece, per gli aquilani, erano e sono sacre. Credo che questa sia stata la peggiore delle rappresentazioni possibili. Anche all’interno di una fiction”.

Aldo Grasso però ha dato un punto di vista diverso su questo. Nella rubrica “Televisioni” (Corriere della Sera) Aldo Grasso ha detto che nella fiction, giudicata comunque “troppo didascalica, un po’ lenta e poco emozionante”, “L’Aquila viene salvata dai ragazzini che entrano dentro la città proibita, la città vietata, e fanno di quel luogo cadaverico il sogno della ripresa e della speranza”. Forse c’è anche un punto di vista diverso sulla trama.

“Io non contesto le letture diverse dalle mie. Ma quei giorni, giorni di dolore e ripresa, non sono andati esattamente così. E di certo i ragazzi di L’Aquila, ragazzi che erano e sono il motore della città, non erano organizzati in bande. La fiction ovviamente segue le sue regole e le sue logiche. E’ una finzione dentro a un fatto reale. Ma qui manca il fatto reale e c’è troppa finzione”.

L'Aquila - Grandi Speranze, i ragazzi, divisi in due bande, si sfidano tra le macerie de centro storico

L’Aquila – Grandi Speranze: i ragazzi, divisi in due bande, si sfidano tra le macerie del centro storico.

In molti hanno criticato anche il dialetto. E’ stato definito come una sorta di “marchigiano / ciociaro / romano”.

“Esatto. Diciamo che gli accenti sembrano non esattamente i nostri. Il dialetto, in alcuni casi, sembra più romanesco che aquilano. Quasi come se L’Aquila, e l’Abruzzo, fossero un’appendice periferica di Roma. E non è così”.

Qualcuno ha anche detto che è stata data una raffigurazione distorta del “Popolo della carriole”.

“Ecco, appunto. Questa è la conferma che c’è poca ricostruzione storica. Il ‘Popolo delle carriole’, con le sue manifestazioni, fu straordinario per emozione, per dolore e per partecipazione. E’ chiaro che la fiction non poteva ricostruire i fatti in maniera precisa ma è evidente che quella esperienza del ‘Popolo delle carriole’, esperienza che ha segnato la rinascita e la reazione della città, è stata un po’ sminuita. Diciamo che sicuramente non è stata rappresentata da un punto di vista storico. Naturalmente c’è chi mi risponderà dicendo che si tratta di una fiction. A loro però ricordo che quando si fa una fiction e si parla di una dramma così grande e di una ferita ancora aperta come questa, bisognerebbe stare più attenti”.

Sono state poi notate, con ironia, le distanze chilometriche che uno dei ragazzi è costretto a percorrere in bicicletta per andare a scuola da Onna al centro di L’Aquila.

“Anche qui una rappresentazione, come dire, quasi bucolica dell’Abruzzo. Sembra quasi che a L’Aquila non ci siano i mezzi e che i ragazzi siano costretti ad andare con le biciclette. Ma quando mai. Sembra quasi che si volesse dare una rappresentazione, dentro al dramma, di una arretratezza. Ma non è così. Anzi. Io invito coloro che hanno seguito e che seguiranno la fiction di venire a vedere L’Aquila. L’Aquila è un capoluogo di Regione. Non è un paesino così come è stato rappresentato. Questo è il punto”.

Marco Risi, il regista, ha detto: “Spero che gli aquilani che vedranno questa storia, e in generale gli italiani, si rendano conto che questa serie è stata fatta con il sentimento giusto, senza voler approfittare, senza troppi sentimentalismi, senza troppe retoriche, ma raccontando le vite di questi personaggi con onestà e con passione”. Secondo lei la fiction ha centrato questo obiettivo?

“Assolutamente no. Forse la serie non è stata fatta con il sentimentalismo ma non è stata neanche fatta con il sentimento. Il sentimento della verità, del dolore, della paura e anche della speranza. Più che altro la fiction è stata confezionata, a mio avviso, per funzionare con il grande pubblico. Ma non con il pubblico aquilano”.

Un’occasione mancata?

“Assolutamente sì. Per carità, non voglio mettere in discussione il regista dal punto di vista tecnico. Io metto in discussione la serie dal punto di vista storico e del messaggio che si è voluto dare. E in questo coinvolgo anche la Rai. La Rai che ha scelto di co-produrre un lavoro come questo in occasione di una ricorrenza così importante secondo me, fermo restando la riconosciuta libertà degli artisti e degli autori di fare ciò che loro ritengono, avrebbe dovuto porre la massima attenzione al messaggio che viene fuori dalla serie”.

“Io – continua – vorrei interrogare un cittadino italiano. Non un aquilano. Ma qualcuno che non è mai venuto e non conosce la situazione. Lo vorrei interrogare e chiedergli che idea si è fatto di quei giorni. Che idea si è fatto di L’Aquila e dell’Abruzzo. Questo è il punto. Secondo me si è fatto un’idea distorta”.

Soldi sprecati?

“Quando c’è un lavoro di produzione i soldi non sono mai sprecati. E’ sprecata l’occasione”.

C’è qualcosa che salva della serie?

“Io – mi risponde – le confesso che ho visto la prima puntata e poi mi sono talmente indignato che non ho visto quelle successive. In ogni caso, anche vedendo solo la prima puntata, riconosco la buona fede nell’obiettivo. Riconosco la volontà di voler accendere i riflettori su una tragedia nazionale. Questo sì. Salvo l’obiettivo. Il proponimento. Ma l’obiettivo, secondo me, è stato poi tradito nella produzione”.

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