Vacanze, che stress! Se italiani non vanno in ferie per paura di perdere lavoro
Pubblicato il 9 Luglio 2014 - 00:37 OLTRE 6 MESI FA
ROMA – Se vacanza diventa sinonimo di stress, allora meglio rinunciare. E’ il ragionamento che fanno sempre più italiani a ridosso delle tanto sospirare vacanze estive. Vacanze più che meritate ma che per molti potrebbero coincidere con la perdita dell’impiego. E allora meglio restare a presidiare il posto o accontentarsi di pause brevi.
Eppure, per la prima volta dal 2010, è salito il numero dei connazionali che si concederanno un po’ di sano riposo. Secondo un’indagine condotta da Swg per Confesercenti il numero di italiani che hanno pianificato le ferie è salito al 64%, sei punti in più rispetto agli scorsi anni. Ma al contempo diminuisce del 18% la spesa media per persona rispetto al 2013: per il 45% degli italiani che partiranno, la pausa sarà più breve rispetto allo scorso anno.
Il dato è preoccupante e per questo c’è chi, come la HRD Training Group, nota società di formazione del personale, ha voluto andare a fondo e ha svolto un’indagine per approfondire il fenomeno: su un campione di 500 persone, di età compresa fra i 18 e i 59 anni emerge che per il 31% degli intervistati le vacanze sono fonte di stress e che quindi non valga nemmeno la pena pianificarle.
Ciò che balza all’occhio è, però, il motivo della rinuncia, e cioè la paura di perdere il lavoro. Si passa infatti dal 12% al 14% di italiani che temono per il proprio posto, dati peraltro confermati da un aumento della disoccupazione, soprattutto femminile, proprio in corrispondenza dei mesi di maggio e giugno 2014: +12%, mai così alta dal 2004.
Se un tempo questo periodo dell’anno veniva visto come una liberazione, una valvola di sfogo, e un momento da concedere al relax e all’evasione, oggi pare che gli italiani vivano con ‘ansia da prestazione’ anche le ferie.
Roberto Re, fondatore di HRD Training Group commenta il dato:
“La paura di perdere il lavoro è chiaramente frutto della precarietà del periodo di crisi che stiamo vivendo. Il condizionamento che ne deriva è oltre ogni aspettativa, senza contare che dopo un anno di lavoro intenso, sarebbe normale aspirare a ricaricare le batterie. Non riuscire infatti a ‘staccare la spina’ può essere controproducente: vacanza dovrebbe essere sinonimo di riposo della mente al fine di riprendere le proprie attività con un’energia maggiore. Al contrario si tende a pensare che distogliere l’attenzione dagli impegni lavorativi coincida con il perdere delle opportunità professionali, di cui inevitabilmente approfitterà qualcun altro, accrescendo così lo stress invece che ridurlo e potenzialmente diminuendo l’efficienza lavorativa al rientro”.
Ma oltre alla paura per il proprio posto, quali sono le altre principali ragioni che spingono molti italiani a rinunciare alla partenza? In generale, la frustrazione di dover calcolare al centesimo ogni minima spesa e di doversi così arrendere all’evidenza che, una volta pagato vitto, alloggio e spese di viaggio non rimane quasi nulla per concedersi anche solo piccoli extra.
Il 60% dei rinunciatari, infatti, dichiara di voler evitare proprio lo stress generato dal non potersi concedere nessun extra, come un pasto fuori, dovendosi quindi organizzare con pranzi al sacco e cene casalinghe.
C’è poi un 43% che mal tollera il doversi adattare alle spiagge libere, sempre più affollate e sporche, non potendosi permettere ombrellone e lettino.
Un altro 29% del campione preferisce evitare le vacanze per non dover dire troppi ‘no’ ai figli, causando quindi un ulteriore delusione ai più piccoli.
C’è poi uno sparuto ma significativo 9% che dichiara di voler evitare il confronto con i ricchi che in vacanza stazionano su barche o in ristoranti di lusso, generando un senso di inadeguatezza ancora più profondo.
“In questi casi la cura sembra essere peggiore della malattia – spiega ancora Roberto Re – Intanto perché mai ci si dovrebbe stressare per una vacanza? Se è stressante partire significa che è sbagliato l’approccio e il modo di pensare. Ciò che genera preoccupazione non è la vacanza in sé: è il modo di vivere la cosa e cioè non vivere quello che è bello ma preoccuparsi di ciò che potrebbe accadere. È chiaro che la questione oggi sia legata anche al discorso economico ma quello che spesso noto è che le persone, pur avendo le possibilità economiche per godersi la vacanza tradizionale, vivono come momento di agitazione anche il confronto con il vicino di casa o con il conoscente”.