VERONA – Quadri di Tintoretto, Rubens, Mantegna, Pisanello e Jacopo e Giovanni Bellini rubati a Verona: le indagini portano in Moldavia. Qui sono state arrestate alcune delle dodici persone implicate nel furto dei dipinti dal museo di Castelvecchio avvenuto il 19 novembre scorso. Tra loro anche una guardia giurata in servizio quella sera. I carabinieri hanno ora diffuso un video che mostra il modo in cui i rapinatori agivano.
Nel video diffuso dalle forze dell’ordine si vede l’irruzione di tre persone nel museo, armate e col viso coperto, che in circa un’ora hanno portato via le sei opere più prestigiose, più altre sei di autori ‘minori’, per un valore stimato attorno ai 20 milioni di euro. Nelle immagini anche l’arrivo e la fuga delle auto coinvolte nella rapina.
Dalla piccola repubblica schiacciata tra Romania e Ucraina veniva, per l’accusa, gran parte dei componenti della banda. Lì sarebbero state portate le opere: sei di Tintoretto, una di Rubens, una di Mantegna, una di Pisanello, una di Jacopo Bellini e un’altra di Giovanni Bellini, più altre sei di autori ‘minori’, per un valore stimato attorno ai 20 milioni di euro.
“Le opere non sono ancora state materialmente recuperate. Speriamo di poterlo fare presto. Speriamo domani di dare buone notizie anche sul ritrovamento dei dipinti trafugati. Siamo sulla pista buona ma non abbiamo ancora messo le mani sui quadri”: ha detto il procuratore di Verona, Mario Giulio Schinaia.
L’operazione (dopo quattro mesi di indagini serrate attorno a una rapina che fin dalle prime fasi era sembrata anomala) è scattata nella notte. Gli arresti sono avvenuti nell’ex repubblica sovietica e a Verona. Figure centrali per le indagini il vigilante e la compagna del fratello, di origine moldava, che avrebbe svolto un ruolo di coordinamento tra gli ‘informatori’ e la manovalanza formata da connazionali.
Sulla guardia giurata, dipendente della società che si è aggiudicata il servizio di vigilanza del museo civico scaligero, si era puntata l’attenzione fin dalle prime fasi dell’inchiesta. “Da lui siamo partiti – ha spiegato Schinaia -. Siamo sicuri di aver imboccato la strada giusta”.
La sera della rapina, prima di entrare in servizio, aveva lasciato l’auto nel cortile del museo con le chiavi sul cruscotto. Proprio quella vettura era stata poi usata dai banditi per la fuga dopo aver caricato nel bagagliaio i dipinti trafugati.
I malviventi erano entrati in azione al momento della chiusura del museo. Le telecamere di sorveglianza avevano immortalato l’irruzione di tre persone, due con in mano delle armi, con i volti coperti, entrate da una porta laterale. Non era scattato alcun allarme, cassiera e vigilante erano stati legati e in un’ora era stata fatta quella che il critico Vittorio Sgarbi aveva poi definito “una strage di civiltà”.
Il dispositivo d’allarme avrebbe dovuto essere inserito alle 20 e in assenza di accensione alle 20.10 avrebbe dovuto scattare una segnalazione alla centrale operativa. Ma la società di vigilanza, dopo un’indagine interna, aveva ritenuto corretta l’azione della guardia giurata in quanto “è stata aggredita ed immobilizzata prima del giro d’ispezione”. Le indagini hanno mostrato un’altra ‘verità’, indicando la presenza di una ‘mela marcia’ nello stesso sistema chiamato a vigilare le opere.