Il suono del Big Bang “registrato” da Planck e “remixato” da un fisico (video)

di Veronica Nicosia
Pubblicato il 5 Aprile 2013 - 17:42| Aggiornato il 16 Dicembre 2022 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Un ipotetico osservatore che suoni avrebbe udito durante i 760mila anni che seguirono il Big Bang? Alla domanda ha risposto John Cramer, fisico e docente dell’Università di Washington di Seattle, utilizzando la mappa dell’universo realizzata dal satellite Planck. 

Cramer ha “remixato”, termine profano ma efficace, le frequenze delle radiazioni cosmiche di fondo, cosmic microwave background, che l’orecchio umano non avrebbe mai potuto udire perché troppo “basse”. Affinché tali radiazioni diventassero udibili il fisico ha dovuto moltiplicarle per un fattore di 10 elevato alla 26, cioè moltiplicare per 10 seguito da 26 zeri il valore iniziale. Il risultato è un suono meccanico, il vero “eco” del Big Bang.

Ma com’è stato possibile la propagazione delle onde sonore nello spazio vuoto? La fisica insegna che affinché un’onda sonora si propaghi nello spazio è necessario che attraversi della materia. A coloro dunque che potrebbero non credere si tratti del suono dell’universo tra i 300mila e i 760mila anni dopo la sua nascita, perché l‘”universo è vuoto” Cramer ha spiegato: “Il Big Bang è un’eccezione, perché la materia che pervadeva l’universo dai suoi primi 100mila anni circa era molto più densa dell’atmosfera terrestre”.

L’universo appena nato d’altronde, lo rivela proprio Planck, era grande come un pompelmo e denso, dunque in grado di garantire la propagazione di queste onde di bassissima frequenza. Non è la prima volta che Cramer ha tentato l’impresa: già nel 2003, utilizzando i dati del satellite WMPA, il fisico riuscì ad “ascoltare” l’eco del Big Bang. La mappa dell’universo fornita da Planck è però più dettagliata e il risultato ottenuto attraverso la manipolazione dei dati, scrive lo stesso Cramer, è stato migliore.