YOUTUBE Chuck Berry: John Travolta e Uma Thurman, il mitico twist di Pulp Fiction

di redazione Blitz
Pubblicato il 20 Marzo 2017 - 14:35 OLTRE 6 MESI FA
Chuck Berry, John travolta e Uma Thurman: il mitico twist sulle note di You Never Can Tell a Pulp Fiction

Chuck Berry, John travolta e Uma Thurman: il mitico twist sulle note di You Never Can Tell a Pulp Fiction

ROMA – Sabato scorso è morto a 90 anni Chuck Berry. Uno dei padri del rock’n’roll è stato una delle maggiori fonti di ispirazione per i musicisti del decennio dopo, Beatles e Rolling Stones su tutti. Le sue canzoni sono entrate nell’immaginario collettivo ed anche nei film. Chi non ricorda il “twist” cult tra Uma Thurman e John Travolta nella pellicola a sua volta cult di Pulp Ficton di Quentin Tarantino? Mia e Vincent, questo il nome dei due protagonisti, salgono sul palco del locale in cui lei ha trascinato la “bodyguard per una notte” che le è stata affibbiata dal marito Marsellus Wallace. Il brano che ancora si può ascoltare qualche volta per radio grazie alla fama raggiunta nel film è “You Never Can Tell”, del grande Chuck.

Probabilmente, l’episodio che riassume meglio la turbolenta vita di Chuck Berry è avvenuto nel suo camerino nel 1981. Il concerto era appena finito e seduto accanto a lui c’era Keith Richards. Berry non aveva ancora risolto la questione che più gli interessava dei suoi concerti: i soldi. Per tutta la vita li ha pretesi in contanti, non importava con chi aveva a fare, se si trattava di un tour o di un grande show. Ed era lui che li metteva nella valigetta. Lasciò Keith Richards da solo in camerino a custodirgli la chitarra. E lui, da fan, non resistette alla tentazione di suonare lo strumento del suo idolo. Purtroppo Berry rientrò proprio mentre Richards suonava e lo colpì con un diretto al volto, lasciandogli un occhio nero. Questo era l’atteggiamento che aveva verso il mondo e il suo ambiente. Sapeva di aver inventato le regole di una musica che avrebbe cambiato il mondo. E di non aver avuto quanto meritava. A differenza di parte dei musicisti neri della sua generazione – era nato nel 1926 – Chuck Berry non aveva origini povere.

Muddy Waters è il gigante del Blues che lo presentò a Leonard Chess, il titolare della leggendaria Chess Records di Chicago. Chess gli fece incidere il primo disco, “Maybelline”. Chuck berry era nato in una piantagione di cotone. Lui, che era della middle class, a 18 anni si era beccato una condanna per rapina. Poi, al culmine del successo, nel 1959, fu arrestato per aver sedotto una ragazzina di 14 anni. Cinque anni di condanna, ridotti poi a tre. Quando uscì di prigione il treno era passato.

L’America degli anni ’50 era ancora segregata, c’erano le classifiche per la musica nera e non impazziva certo per quel nero sfrontato che di fatto ha portato la chitarra elettrica al centro della scena e che è stato il primo a scrivere dei testi che raccontavano in modo diretto e pieno di ironia l’universo giovanile, che proprio negli anni di “Roll Over Beethoven”, “School Day”, “Johnny B. Goode”, “Come On” , “Sweet Little Sixteen” scopriva di essere una categoria sociologica fino ad allora sconosciuta. Quei versi avevano ritmo, erano facili da capire, ma tutt’altro che banali ed erano frutto di una sofisticata scelta legata anche al suono delle parole che si inserivano in un quadro musicale, che combinava il Blues, lo Swing, il Country, la lezione di T Bone Walker, e in cui la chitarra suonava introduzioni, scandiva riff, suonava brevi frasi solistiche (licks) tra un verso e l’altro, esaltava le risorse, allora assolutamente rivoluzionarie, della musica amplificata. Il tutto arricchito da una presenza scenica travolgente, entrata nella storia dello show business grazie al “duck walk”, il passo dell’anatra. In quegli anni lì, e per molto tempo a venire, i musicisti venivano derubati da contratti truffa e se eri bianco era meglio.

Nel 1963 i Beach Boys conquistarono il mondo grazie a “Surfin Safari” che è identica, nota per nota, a “Sweet Little Sixteen”. Chuck Berry dovette aspettare molti anni prima che la causa per plagio gli facesse ottenere un parziale risarcimento. In realtà il periodo d’oro di Chuck Berry dura pochi anni: come la maggior parte della generazione dei padri del rock’n’roll, è rimasto legato alla musica e ai brani che l’hanno reso famoso. A coltivare il suo genio e a portarlo nel futuro sono stati innanzitutto i rocker inglesi degli anni ’60, a cominciare dai Beatles e i Rolling Stones e quelli delle generazioni successive, tutti consapevoli che il rock come lo intendiamo oggi non sarebbe esistito senza Chuck Berry. Che, insieme a un gruppo di musicisti neri della sua generazione, ha trascorso la vita a rodersi del fatto di non aver mai avuto quanto gli era dovuto per essere stato “l’inventore”.