Cinema italiano: un bagno di sangue. Chiusure e presenze flop, settore a rischio. Come salvarlo?
Martedì 5 luglio una alleanza bipartisan di senatori – da Maurizio Gasparri (Fi) a Luigi Zanda (Pd) – ha presentato una mozione (la prima ad occuparsi della materia) “per difendere il cinema in sala, fattore di socialità e di identità “. Scopo prioritario: riportare il cinema al centro della distribuzione audiovisiva. Il lungo lockdown e le misure restrittive hanno allontanato gli appassionati e sempre più chiudono le sale. I lavoratori del settore hanno già fatto sentire il loro grido di dolore. È allarme rosso. I numeri sono impietosi.
CHIUSE 500 SALE
Il cinema italiano è in caduta libera. Unico in Europa. Dunque, fenomeno tutto nostro. Piangono gli incassi (-70%), calano gli spettatori (-12%). Le produzioni italiane lavorano a pieno regime ma non sempre i film escono in sala; o se lo fanno incassano troppo poco.
Nel 2021 i titoli nostrani sono stati il 43%, incidendo sulla quota nazionale solo per il 20%, oltretutto concentrato per la maggior parte negli incassi dì quattro o cinque film. Dopo il lockdown in Italia 500 schermi non hanno più riaperto. Sono numeri pre-fallimentari.
LA CRISI DEL CINEMA DURA DA ANNI
Perché? Ognuno dice la sua. Se ne sentono di tutti i colori. C’è crisi perché non ci sono più i grandi attori o registi (ma vengono salvati Tornatore, Bellocchio, Amelio, Moretti), perché lo spettatore si è involuto, perché con l’arrivo dei cinepanettoni non si fa più il cinema di “genere “ (giallo all’italiana, spaghetti western, horror, poliziottesco), perché i produttori sono poco coraggiosi, il pubblico ignorante e con poca cultura.
Addirittura perché non esistono più le “maggiorate” che tanto andavano di moda nel cinema italiano anni 60; calma, esistono ancora “ e si chiamano rifatte”. Quel che è certo è che la crisi è sotto gli occhi di tutti. E invertire la tendenza non sarà facile. I senatori vogliono mettere un freno – tanto per cominciare – allo streaming. Ma forse è tardi.