I due figli di Walter Tobagi, Luca e Benedetta, hanno scritto una lettera al Corriere della Sera in cui auspicano che ”la violenza sia lasciata alle spalle, che la ricerca della verità prosegua e che le nuove generazioni siano dotate degli strumenti per conoscere gli orrori di un passato ingombrante, che a volte grava ancora sul presente del nostro Paese. Vorremmo che non pesasse sul nostro futuro”.
Walter Tobagi è stato un giornalista e scrittore italiano che venne assassinato il 28 maggio 1980 a Milano in un attentato perpetrato dalla Brigata XXVIII marzo, gruppo terrorista di estrema sinistra. Luca e Benedetta hanno partecipato sabato su invito della Presidenza della Repubblica al «giorno del ricordo delle vittime del terrorismo e delle stragi».
”È importante – scrivono – che la vedova Pinelli sia stata invitata alla cerionia al Quirinale, che lei abbia accettato di essere lì con noi. È importante che il Paese superi un sentimento di divisione ideologica che dura da troppo tempo”.
”Bisogna invece lasciare spazio – prosegue la lettera – a una volontà condivisa di costruire un futuro diverso. È importante che, soprattutto fra coloro che hanno pagato un prezzo altissimo a una stagione di odio inutile, si manifesti la volontà di fare un passo per includere tutti in questo sforzo di superamento delle barriere, perché certi eventi drammatici non si ripetano. Che questo avvenga proprio nel quarantesimo anniversario della strage di piazza Fontana e della morte di Pino Pinelli, eventi che forse più di ogni altro hanno lacerato la coscienza collettiva, ‘non rientra — per citare le parole di papà — nel novero dei fatti previsti o scontati’: è il segno che si sta aprendo una pagina nuova”.
”Una democrazia libera e matura non può che rifiutare la violenza e le ideologie che la alimentano, ma deve essere capace di riaccogliere e reintegrare, a tempo debito e in modo opportuno e misurato, senza eccessi, coloro che hanno percorso una strada sbagliata e ne hanno preso coscienza. Non abbiamo bisogno di commemorazioni per ricordare nostro padre e sentirne l’assenza: la cicatrice è sempre lì, il vuoto non si può colmare. Come figli, però, siamo orgogliosi di pensare che il lavoro cui ha dedicato la sua vita possa rappresentare ancora oggi, a quasi trent’anni di distanza, un punto di riferimento e un modello a cui ispirarsi per la riflessione e il superamento delle difficoltà di una fase storica per molti aspetti non conclusa”.
”Il seme di speranza che nostro padre vedeva nella presenza di tanti giovani al funerale di tre poliziotti, pochi mesi prima di essere ucciso, si rinnova nella presenza degli studenti di Trento, autori del libro «Sedie vuote», alla cerimonia del Quirinale”.
”Questo stesso seme – conclude la lettera – è anche il nostro: che la violenza sia lasciata alle spalle, la ricerca della verità prosegua e le nuove generazioni siano dotate degli strumenti per conoscere gli orrori di un passato ingombrante, che a volte grava ancora sul presente del nostro Paese”.