Il freelance divenuto un messaggio per Obama. Vittorio Zucconi, Repubblica

di Redazione Blitz
Pubblicato il 3 Settembre 2014 - 10:09 OLTRE 6 MESI FA
Il freelance divenuto un messaggio per Obama. Vittorio Zucconi, Repubblica

Il freelance divenuto un messaggio per Obama. Vittorio Zucconi, Repubblica

ROMA – Blitz quotidiano vi propone come articolo del giorno di mercoledì 3 settembre “Il freelance che raccontava la guerra divenuto un messaggio per Obama” di Vittorio Zucconi per Repubblica.

«Tu, Obama» dice l’orrendo figurante in nero brandendo il coltello per sgozzare un altro reporter americano, Steven Sotloff. «Tu», si rivolge il macellaio al capo di uno Stato eletto da una nazione di 310 milioni di cittadini liberi, minaccioso, infantile come un bambino sadico che sevizi un gatto, arrogante e insieme confidenziale, nel rapporto diretto che la comunicazione del terrore crea superando ogni distanza nel tempo istantaneamente fruibile della Rete e nel grottesco.
Il canale di comunicazione che i burattinai dell’Is hanno aperto sgozzando uomini colpevoli di null’altro che non fosse la loro vocazione professionale e l’essere americani, demolisce le barriere imperfette che il mondo aveva cercato di creare per separare l’umanità razionale dalla irrazionalità belluina. Al boia in nero, che gioiosamente ripete la cerimonia già inscenata per sgozzare James Foley due settimane or sono, sembra naturale, addirittura giusto, dialogare con un governante lontano che deve rispondere delle proprie azioni quotidianamente al Parlamento, alla magistratura, all’informazione, alla cittadinanza, da pari a pari.

LUI che è accusatore, giudice, giuria e boia chiuso nell’autoreferenzialità dell’odio assoluto e perfetto.
A suo modo, e nel suo mondo oscuro, il boia, e chi lo manovra, hanno ragione. Nella decapitazione di Foley, come ora in quella di Sotloff, un altro freelance che aveva raccontato le sofferenze dei civili travolti nelle guerre per Time e per Foreign Policy , dunque certamente non un cacciatore di sensazionalismi e di effetti speciali, i macellai sanno di potersi rivolgere direttamente a Barack Obama. I due minuti di video che immediatamente sono volati attorno alla Terra e nelle case degli americani all’ora del lunch , della pausa pranzo, scavalcano ogni difesa razionale e colpiscono un Presidente nel momento della sua massima vulnerabilità. Un uomo che cerca di divincolarsi da guerre insensate che non aveva lanciato lui, ma che lo risucchiano all’indietro inesorabilmente. Nella finzione di rispondere alla forza americana, che è tornata a farsi sentire colpendo e fermando l’avanzata del Califfato in Iraq, il video ha lo scopo opposto, quello di illuminare la debolezza e dunque l’impotenza della cosiddetta «superpotenza».
La notizia della decapitazione di Sotloff è piombata alla Casa Bianca mentre il portavoce del Presidente, Josh Ernest, teneva la propria quotidiana conferenza stampa di routine. Ha balbettato, ha costretto l’Amministrazione alle solite formule prêt àporter, a nome di Obama, «un atto terrificante », «un gesto spregevole e ripugnante », come ha detto anche l’inglese Cameron, come se non fossero precisamente quelli, il terrificante, il disgustoso, lo spregevole, gli strumenti di comunicazione degli autori del delitto. I macellai sanno, come già ben sapeva Osama Bin Laden compiaciuto dell’”effetto” dell’11 settembre «superiore anche alle nostre previsioni», che nessuno, certamente non il governo, potrà impedire a quelle sequenza di circolare e di girare all’infinito nel gorgo della Rete.
Il fatto che proprio la madre di Sotloff, dopo avere visto la fine di Foley e il proprio figlio inquadrato nella videoclip della sua morte, avesse implorato il Presidente di intervenire, di trattare, di fare qualcosa per salvare il suo Stephen, che lei avesse chiesto pietà per lui agli aguzzini, esalta insieme la disumanità dell’azione e la condizione impossibile di Obama. Il vincitore di due elezioni, prematuramente insignito di un Nobel per Pace prima ancora di essersi mosso sulla scena mon- diale, aveva promesso ai propri elettori e al mondo arabo dal Cairo di essere il Presidente del dialogo con il mondo arabo, di rinunciare alla scellerata illusione della democrazia esportabile con i cannoni e dei regimi da cambiare secondo i criteri della democrazia jeffersoniana.
Ma la pace, e il dialogo, i famosi “tavoli”, sono precisamente quello che i tagliagole dell’Is non vogliono, come dimostrano le esecuzioni accuratamente staged , sceneggiate, dei due giornalisti alle quali altre seguiranno, avendo altri ostaggi nelle loro mani. Sanno leggere la situazione politica interna americana, che è sempre visibile e leggibile da chiunque. Vedono la debolezza di un Presidente impaniato in una viscosità politica che sembra un impeachment di fatto, non certamente di diritto, e che la scontata maggioranza bicamerale che i Repubblicani conquisteranno fra due mesi alle elezioni di metà mandato, renderà paralisi. Capiscono che quanto più il capo di una nazione democratica, e orgogliosa come l’America, è debole, tanto più forte sarà la tentazione di riaffidarsi alle armi.
Proprio trent’anni or sono, nelle ore dell’agonia di Nixon impiccato al Watergate e all’avvio dell’ impeachment, generali e consiglieri temevano un suo “colpo di testa” militare in qualche area calda del mondo, per divincolarsi dal cappio della politica. Il sangue di Foley e di Sotloff è stato versato nella sabbia perché produca altro sangue. Perché giustifichi così la pretesa «riposta» dei fanatici, votati, eletti, nominati da nessuno se non dalla propria violenza, alla violenza di un’America che, in casa, viene accusata di avere troppo presto rinunciato a usare la propria potenza militare.
L’Obama che fa telebombardare le posizioni e le milizie dell’Is in Iraq e costringe il povero Sotloff ad accusare lui di «avergli fatto pagare il prezzo con la propria vita», è lo stesso Obama che a Washington viene tacciato di indecisionismo, di scarsa reattività, di indolenza. Quell’arrogante, «Tu, Obama» che si sente benissimo nell’accento inglese del manichino della morte essere lo “ you” confidenziale e non lo “ You” rispettoso, è insieme una richiesta di resa e una speranza di escalation, perché in entrambi i casi gli assassini potrebbero rivendicare una vittoria. O sul campo, facendo strame di chiunque osi opporsi senza averne la forza dopo l’abbandono degli Stati Uniti, creando il califfato della morte. O nell’universo stralunato, ma sempre vivace del giustificazionismo ideologico, che li vede come povere «vittime» costrette a usare metodi un po’ bruschi per affermare la propria causa e la propria resistenza.
“John the Brit”, o Johnny the Beatle, come è stato soprann ominato quel figurante forse cresciuto a Londra sta per ora vincendo la partita e le lacrime, per noi neppure comprensibili nella profondità della disperazione, di Shirley, la madre, saranno lacrime di gioia, oggi, nei covi dei suoi burattinai e reclutatori.