INDIA: IL RADICALISMO ISLAMICO ARMATO

La Repubblica pubblica una analisi di Carlo Bonini sulle responsabilita’ delle stragi a Mumbai intitolato ”La mano dietro la strage”. Lo riportiamo di seguito:

”Chi? Perché? E perché ora e perché Mumbai? A poco più di trentasei ore da una mattanza le cui proporzioni non sono ancora definite con esattezza, in una situazione che sul terreno resta ancora confusa, le domande che frullano tra le intelligence di New Dheli, Londra, Washington e Mosca, restituiscono risposte in parte monche, in parte, a loro modo, già definitive.

In una nota diramata ai Servizi occidentali collegati – che, per altro, nella serata di ieri, veniva considerata l’ipotesi di lavoro più accreditata – l’MI6 inglese, il solo tra i Servizi occidentali europei con una radicata e storica presenza in India, indicava nel Lashkar-e-Toiba (l’"Esercito dei puri"), la mano della strage. E nella rete politica e militare del radicalismo pachistano, nei settori fuori controllo dei suoi servizi segreti militari (l’Isi) la sua sponda logistica. A dispetto della smentita dettata da Islamabad dal portavoce di Lashkar, Abdullah Ghaznavi ("Non abbiamo niente a che fare con gli attacchi"). A dispetto dell’irritazione manifestata dallo stesso governo pachistano di fronte a chi invita in queste ore a guardare nel suo cortile di casa. A dispetto della sola rivendicazione ufficiale sin qui consegnata ai media indiani nella serata di mercoledì. Quella degli sconosciuti "Mujaheddin del Deccan".

L’ipotesi inglese poggia sul puzzle di informazioni che, sin qui, ha restituito la scena della strage, sulle sue modalità, sul suo "format" che questa volta, non solo nella scelta degli obiettivi e nella simultaneità degli attacchi, deroga allo schema rudimentale della trappola esplosiva che, in questi anni, ha accompagnato la lunga scia di attentati che ha insanguinato l’India. Insomma, messi in fila, la nazionalità pachistana di alcuni dei terroristi uccisi o catturati tra la notte di mercoledì e la mattina di ieri ("Provengono da oltre confine. Probabilmente da Faridkot, in Pakistan", ha detto il generale indiano Hooda, che coordina le operazioni a Mumbai), le informazioni che alcuni di loro, interrogati, avrebbero già consegnato ai Servizi indiani, il loro numero (che in queste ore viene stimato superiore ai cento) e la giovanissima età, le prove di un loro arrivo in città da terra e dal mare (sarebbero stati ritrovati due pescherecci), l’efficienza militare dimostrata nel portare attacchi simultanei con armi automatiche e granate e nel resistere all’assedio degli hotel Oberoi e del Tajmal, la loro lingua (l’Urdu) e soprattutto il loro accento del Kashmir, hanno convinto gli inglesi che è al Lashkar-e-Toiba che si debba guardare.

All’organizzazione terroristica islamica battezzata in Afghanistan nel 1991, con il proprio quartier generale a Lahore (Pakistan), in guerra con l’esercito indiano dal 1993 nella regione del Kashmir e, soprattutto, responsabile delle stragi al Parlamento di Dheli (2001) e nella stessa Mumbai appena due anni fa (200 furono i morti provocati da esplosioni contemporanee nelle stazioni ferroviarie e della metropolitana).

L’ipotesi inglese, accreditata per altro con enfasi a Mosca da fonti dell’intelligence russa rilanciate dall’agenzia di stampa Novosti, sembra invece lasciare tiepida Washington, che pure, all’indomani dell’11 settembre, si affrettò a inserire Lashkar tra le organizzazioni terroristiche di maggiore pericolosità nel sud-est asiatico, continuando a vedere in quella organizzazione un ostacolo concreto a qualsiasi processo di stabilizzazione nella regione del Kashmir e di normalizzazione nei rapporti tra India e Pakistan. Una qualificata fonte di intelligence americana riferisce a Repubblica come la Cia stia guardando con attenzione ad un’altra organizzazione del firmamento radicale islamico in India. Gli "Indian Mujaheddin". "Dietro la sconosciuta sigla che ha rivendicato la strage, "Mujahedin del Deccan" – dice la fonte di intelligence americana – è ragionevole ritenere che si nascondano gli Indian Mujaheddin. Che "Mujaheddin del Deccan" non sia altro che il logo utilizzato per battezzare questa operazione e confonderne le responsabilità. Anche perché, in una situazione come questa, è sempre meglio partire dalle ipotesi più semplici. E l’ipotesi più semplice suggerisce di andare a rileggersi le e-mail che gli Indian Mujaheddin, non più tardi del 13 settembre scorso, inviarono ai media indiani per rivendicare gli attentati ai mercati di New Dheli (18 morti, 80 feriti ndr.)". Quelle mail, partite significativamente da Mumbai e accompagnate dalla benedizione del "Movimento Islamico degli studenti indiani", indicavano proprio in quella città il successivo obiettivo del terrore, sfidando i Servizi indiani a mettere argine ad un plot evidentemente già pianificato.

E’ un fatto che, da qualunque parte la si voglia guardare e quale che sia il grado di approssimazione sulla sigla dell’organizzazione responsabile della strage, le intelligence indiana, inglese, americana e russa, siano concordi nell’escludere un coinvolgimento diretto di Al Qaeda e della sua struttura di comando. Anche per la sua ridotta capacità di organizzare un attacco di queste dimensioni e di questa complessità in un Paese dove la sua penetrazione non ha mai raggiunto una massa critica. E che invitino piuttosto a guardare a quella nebulosa di radicalismo islamico armato che in questi anni, in India, ha trovato una generosa sponda nelle regioni di confine con il Pakistan e un sostegno logistico in settori dell’Isi, il potente Servizio segreto militare di Islamabad. Che di Al Qaeda, per usare le parole di un analista di rango come Peter Bergen (si veda la sua intervista in queste pagine), ha mutuato brand e format del terrore, pur operando, di fatto, in una "condizione di outsourcing".

E’ un fatto che il luogo (Mumbai, la città simbolo della convivenza possibile e moderna tra hindu e musulmani) e il tempo scelti per la strage rimettano in discussione la cooperazione avviata proprio tra New Dheli e Islamabad sul terreno della lotta al terrorismo (nei giorni scorsi, delegazioni ufficiali dei due Paesi avevano firmato dei primi protocolli di intesa) e diano nuovo fiato e concretezza, come accaduto la scorsa estate dopo l’attentato all’ambasciata indiana a Kabul, al sospetto che il presidente pakistano Asif Ali Zardari non sia in grado di controllare il proprio servizio segreto militare. Che il sangue di Mumbai sia insomma destinato a chiamare altro sangue. Presto”.

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