Peter O’Toole tra cocaina, canne e alcol: la nuova biografia racconta che…

di Redazione Blitz
Pubblicato il 5 Novembre 2016 - 06:40 OLTRE 6 MESI FA

LONDRA – Cocaina, canne e l’inseparabile bottiglia: Peter O’Toole, uno dei più grandi attori teatrali e cinematografici inglesi, protagonista della scena per 50 anni, ha vissuto in modo dissoluto e tutti pensavano che non sarebbe arrivato a compiere mezzo secolo, invece è vissuto fino a 81 anni. A 48 anni, nel 1980, a causa dell’enorme consumo di alcol, aveva subito la rimozione di parte del pancreas e dello stomaco, operazione che lo rese insulino-dipendente. Quale giovane studente di recitazione, riusciva a stanare le feste migliori al pari di un segugio e un suo compagno di studi, ha detto che voleva morire entro i 30 anni a furia di bevute.

Ma l’alcol ha messo in evidenza il lato oscuro della sua psiche e si crogiolava nell’idea di essere un ragazzaccio, come rivela Robert Sellers nel suo libro “Peter O’Toole: the definitive biography”, edito da Thomas Dunne Books, di cui il Daily Mail pubblica questo stralcio.

Era grande amico e compagno di bevute di Richard Harris, la moglie Elizabeth, di Richard Burton ed Elizabeth Taylor: insieme condividevano l’amore per l’alcol fino a quando la Taylor nel 1972 chiuse l’amicizia. Trovò Burton e O’Toole ubriachi, abbracciati sul pavimento di un pub che cantavano “Happy Birthday: erano lì da ore. Da quel momento, O’Toole si riferiva alla Taylor come “quella donna”.

Sul set “Come rubare un milione di dollari e vivere felici”, fece ubriacare Audrey Hepburn, per la prima e unica volta nella sua carriera.  A Hollywood, nel 1962, dopo aver girato “Lawrence d’Arabia”, prese una sbornia con Jason Robards, si presentarono a casa di quest’ultimo e apparve la moglie Lauren Bacall in bigodini. O’Toole gridava “Cavolo, è un falchetto”, il che impedì per sempre che rimettesse piede nella casa della coppia.

In un’altra occasione, Peter O’Toole e Omar Sharif stavano festeggiando uno stand up di Lenny Bruce in casa del comico e autore teatrale: l’abitazione fu perquisita, Bruce accusato di possesso di droga, O’Toole e Sharif messi in cella. O’Toole riconobbe la dipendenza dall’alcol e perseguiva l’obbiettivo di diventare un grande attore ma la celebrità fu più ingombrante di quanto si aspettasse.

“Si insinua attraverso le dita dei piedi, non ci si rende conto di quanto stia accadendo finché non diventi pazzo e inizia a diventare pericolosa”, pare abbia detto lo stesso O’Toole.

Lawrence d’Arabia vinse 7 Oscar, ma O’Toole non ricevette la statuetta come miglior attore protagonista: vinse Gregory Peck con “Il buio oltre la siepe”. Per l’attore inglese, fu una delusione. O’Toole ha ricevuto in totale otto nomination all’Oscar ma non ha mai vinto. Nel 2003, l’Academy Award gli consegnò la statuetta alla carriera.

“Un secondo premio non è un premio”, affermò l’attore “l’Academy potrebbe rinviare a quando compirò 80 anni?”, scrive Sellers.

Ma alla fine, convinto dai figli ha ceduto e ritirato l’Oscar. Arrivato nella sala del ricevimento, al bar chiese un drink ma gli fu risposto che c’era una rigorosa politica no-alcol. Sul momento reagì male e per placarlo gli portarono una bottiglia di vodka. Nato a Leeds, in Inghilterra, nell’agosto 1932, O’Toole con l’Irlanda ha avuto una storia d’amore per tutta la vita e ha sempre sostenuto di essere irlandese; affermava di essere nato nel Connemara, Contea di Galway, in Irlanda.

Suo padre era irlandese, il che gli dava diritto alla stessa cittadinanza: amava così tanto l’Irlanda che ha sempre indossato solo calze verdi. Il padre, Patrick, chiamato “il capitano”, era un bookmaker degli ippodromi d’Irlanda e nel nord dell’Inghilterra, in quel periodo un’occupazione illegale. Vestiva come un dandy, si sedeva su uno sgabello del circuito gridando le probabilità.

Il figlio aveva soggezione assoluta del padre, sempre con la sigaretta tra le labbra e la mano che reggeva una pinta di Guinness. Soprannominato “bubbles” (bollicine), per i suoi riccioli d’oro e perché era cicciottello, O’Toole era afflitto da problemi di salute, fu operato otto volte a un occhio e rischiò la morte a causa di un’appendicite, in un tempo in cui non c’erano antibiotici.

Studiò dai gesuiti e per un po’ di tempo prese in considerazione l’idea di diventare prete che svanì a 15 anni, quando sentì storie di sacerdoti che allungavano le mani. Terminati gli studi, entrò a far parte della Royal Navy e fu anche arrestato per aver trafugato razioni extra di rum. Il suo capitano, gli disse che lo vedeva meglio come poeta e attore. Gettò la divisa nel Tamigi e si iscrisse alla Royal Academy of Dramatic Arts di Londra.

Nel 1953, O’Toole conobbe l’attore Wilfrid Lawson, che diventò il suo mentore ed era alcolizzato. Nel 1967, sul set de “Il leone d’inverno”, Katherine Hepburn lo chiamava “maiale”, lui “brontolona” e lasciava bottiglie di liquore vuote nella macchina dell’attrice. Fu un rapporto d’amore-odio ma la Hepburn gli comprò una moto per gli spostamenti dal set.

Non era mai puntuale e quando l’attrice era costretta ad aspettarlo, al suo arrivo gridava, lo colpiva con pugni sulla testa. A causa dello Scotch, farmaci per l’ulcera, sigarette Gauloises fu costretto ad alimentarsi con una sonda gastrica. Si innamorò dell’attrice gallese Siân Phillips, si resero conto che erano anime gemelle, tranne il fatto che lei non beveva. O’Toole la iniziò all’alcol, birra e whisky, e quando si sposarono nel 1959 lei non vide segnali di pericolo ma iniziò a preoccuparsi seriamente quando iniziò a trovarlo ubriaco, che dormiva su una poltrona.

Iniziarono liti, offese reciproche a volte anche rese pubbliche. L’attore beveva così tanto che una volta non si svegliò per tre giorni. La coppia aveva due figlie e anche se O’Toole le amava, non le voleva tra i piedi, potevano vedere il padre solo dietro sua richiesta. Il suo matrimonio con Siân si concluse poiché l’attore la tradì con una cameriera, poi con una giovane attrice e iniziò a fumare canne. La moglie iniziò una relazione con Robin Sachs, attore, che poi sposò.

“Ero un marito senza speranza”, confessò O’Toole, “Sono un uomo affettuoso, ma non particolarmente beneducato”.

Nel 1979 divorziarono, comprò una casa a Siân, chiese tutti i bei gioielli che le aveva regalato e che furono venduti da Sotheby. Niente assegno di mantenimento, annullò l’assicurazione medica: era un egocentrico e non poteva concepire che lei l’avesse lasciato per un uomo più giovane; non ammetteva che dopo 20 anni, la moglie ne avesse abbastanza. Nel 1980, smise i panni del ragazzaccio, eliminò le bevute ma ormai, scrive l’autore “era un uomo devastato”.

Alla fine, O’Toole andò avanti. Milza rimossa, mezzo pancreas ma ancora fumava erba, sembrava sempre più scarno e smunto, a volte non si capiva cosa stesse dicendo. Nel 1980 iniziò a frequentare Trudie Styler, che in seguito sposò Sting, che all’epoca lavorava nella produzione dell’Old Vic, il “Macbeth” con O’Toole. Le critiche furono devastanti, scrissero che la recitazione era da “squilibrato”. Quando la Hepburn lo seppe, chiamò l’amico e gli chiese quale fosse la reazione del pubblico.

“Ricorda questo, amico mio”, disse l’attrice, “sei il più originale attore inglese dalla fine della guerra. Fo**iti della critica”.

La storia con Trudie si concluse e O’Toole iniziò a uscire con una modella che aveva 15 anni meno di lui. Nel 2006, ebbe l’ottava e ultima nomination all’Oscar come miglior attore protagonista, per l’interpretazione in “Venus”, un film indipendente e a basso budget mai uscito in Italia. O’Toole, nel luglio 2012, si ritirò nella sua casa in Irlanda con il figlio Lorcan, nato nel 1983 dalla relazione con l’ex modella americana Karen Brown.

Pianse quando gli fu detto che erano morti i suoi cari amici Richard Burton e Richard Harris. Era stato un uomo importante per mezzo secolo e ora viveva come un recluso. Morì il 14 dicembre 2013 e le ceneri furono disperse vicino all’amata casa a Clifden, in Irlanda.
L’amato gatto Sidney, saltò nella bara aperta e si accoccolò sul petto dell’indimenticato attore inglese.