Articolo 18, Cassazione: “Datore non può lucrare sulla scelta dell’indennizzo”

Pubblicato il 17 Settembre 2012 - 18:26 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Il datore di lavoro non può lucrare sul diritto di opzione del lavoratore: se il dipendente sceglie l’indennizzo invece del reintegro, deve percepire tutti gli stipendi che non ha ricevuto dalla data del recesso fino alla totale copertura dell’indennizzo. I ritardi si pagano perchè il conteggio di quanto il datore deve dare non si ferma alla data dell’esercizio dell’opzione, ma prosegue fino al giorno in cui tutta l’indennità sostitutiva non sia corrisposta. Lo sottolinea la Cassazione.

In particolare, la Suprema Corte con la sentenza 15519 – che ha dato ragione a un addetto ai treni nella causa contro le Ferrovie italiane – ordina ai giudici di merito, soprattutto alla Corte di Appello di Roma che aveva ‘sbagliato’, di uniformarsi a questo indirizzo che deve essere considerato ”prevalente e preferibile”, sebbene vi sia una tesi minoritaria che ritiene che le retribuzioni vadano commisurate solo fino al giorno in cui il lavoratore esercita l’opzione.

Questo il principio fissato dall’alta Corte: ”In caso di esercizio del diritto di opzione ex art. 18, comma 5, legge 300 del 1970, l’ammontare del risarcimento in caso di ritardata corresponsione dell’indennita’ deve essere pari alle retribuzioni perdute fino a che il lavoratore non venga effettivamente soddisfatto”. ”Questa soluzione – spiega la Cassazione, relatore Giuseppe Bronzini – rafforza, anche alla luce di principi comuni agli stati dell’Unione europea, la garanzia di un pronto ristoro del danno in favore del lavoratore e dissuade il datore di lavoro da ritardi e dilazioni nel pagamento di una idennita’ dovuta per la lesione di un diritto fondamentale anche di matrice europea”.