Francesco Schettino fa la vittima coi giudici: morto anch’io

di redazione Blitz
Pubblicato il 15 Gennaio 2016 - 11:30 OLTRE 6 MESI FA
Francesco Schettino fa la vittima coi giudici: morto anch'io

Francesco Schettino (Foto Lapresse)

GROSSETO – L’ultima mossa di Francesco Schettino è una lettera ai giudici del processo sul naufragio della Costa Concordia, avvenuto ormai quattro anni fa davanti all‘isola del Giglio (Livorno). Nove pagine in cui l’ex comandante della nave da crociera si professa, ancora una volta, innocente, dice che da quel giorno “non c’è più pace per me” e sostiene che la sua vita “è finita insieme alla vita di quelle 32 persone”, le vittime del naufragio.

Giusi Fasano, del Corriere della Sera, ha potuto visionare quelle pagine e le racconta nel suo articolo.

“Cari giudici, credetemi. Io sono innocente. E siccome finora la Giustizia non ha colto il mio lato umano, adesso ve lo racconto io”. Le parole non sono queste ma il senso delle nove pagine che Francesco Schettino ha scritto per i magistrati che lo giudicheranno in appello è invece proprio questo. Una difesa accorata dei suoi buoni sentimenti che, secondo lui, nessuno ha saputo vedere nelle 71 udienze del processo di primo grado, chiuso a febbraio dell’anno scorso con la condanna a 16 anni di carcere”.

La lettera di Schettino raccoglie quelli che lui ha definito i suoi “personali motivi di appello”. Raccontandosi ai giudici l’ex comandante scrive:

“Al processo di secondo grado, ancora non fissato, cercherò di essere presente il meno possibile dato che la mia presenza fisica fin dal principio è stata pregiudizialmente mal interpretata ricalcando un copione che non è in linea con la mia persona e soprattutto con la mia indole”.

Spiega Giusi Fasano sul Corriere della Sera:

“Delle 32 vittime – che poi sarebbero 34, contando i due sub morti mentre lavoravano per la rimozione della nave – Schettino parla dopo aver premesso che «intendo offrire alla valutazione della Corte anche il mio tratto umano», cosa che «è bene scrivere» piuttosto che rivelare con «dichiarazioni relative a sentimenti, sensazioni, angosce». E che i giudici lo sappiano: «Auspico che il mio mondo interiore possa non rimbalzare sulle prime pagine» per evitare che «le mie emozioni possano essere trasformate in prodotto da dare in pasto all’opinione pubblica». Assomiglia a un’ossessione, quella che lui definisce «assordante clamore dei media».

Schettino, che la notte del 14 gennaio del 2012 abbandonò la nave, secondo l’accusa, lasciando i passeggeri al loro destino, scrive che il suo “più grande tormento da quella notte è stato il costante pensiero per le vittime e non essere morto”.

Racconta Fasano sul Corriere della Sera:

“I morti, è convinto Schettino, sono il risultato di una «situazione di inenarrabile emergenza» durante la quale «non sono stato aiutato dal team di ufficiali, non adeguatamente addestrato».

Il tono patetico (nel senso etimologico del termine) emerge anche in altre righe, riportate da Giusi Fasano:

«La mia vita è finita allora e se non temessi di essere frainteso direi che è finita insieme alla vita di quelle 32 persone», «non c’è più pace per me», «guardavo la Concordia di fronte a me, rovesciata su un fianco, come un animale ferito, avrei voluto raddrizzarla con le mie mani».

Secco il commento di Alessandra Guarini, avvocato delle vittime:

«Parole illeggibili. È il solito Schettino, sconcertante».

(Foto Lapresse)

(Nel video, l’audio della telefonata tra Francesco Schettino e il comandante Gregorio De Falco)