Istat: Italia fanalino di coda Ue, 1 italiano su 4 è povero

Pubblicato il 23 Maggio 2011 - 10:28 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Un italiano su quattro è povero, il Pil italiano è fanalino di coda in Europa, circa due milioni di giovani sono disoccupati, aumentano gli abbandoni degli studi, il lavoro manca, soprattutto al sud, ma anche al nord e così la nostra ripresa stenta. E’ questa la fotografia sconsolante che fa di noi l’Istat nel suo rapporto annuale.

Circa un quarto degli italiani (il 24,7% della popolazione, piu’ o meno 15 milioni) ”sperimenta il rischio di poverta’ o di esclusione sociale”. Si tratta di un valore – rileva l’Istat – superiore alla media Ue che è del 23,1%. Il rischio povertà riguarda circa 7,5 milioni di individui (12,5% della popolazione). Mentre 1,7 milione di persone (2,9%) si trova in condizione di grave deprivazione si trova 1,7 milione (2,9%) e 1,8 milione (3%) in un’intensità lavorativa molto bassa. Si trovano in quest’ultima condizione l’8,8% delle persone con meno di 60 anni (6,6% contro il valore medio del 9%).

Solo l’1% della popolazione (circa 611 mila individui) vive in una famiglia contemporaneamente a rischio di povertà, deprivata e a intensita’ di lavoro molto bassa. Nelle regioni meridionali, dove risiede circa un terzo degli italiani, vive il 57% delle persone a rischio poverta’ (8,5 milioni) e il 77% di quelle che convivono sia col rischio, sia con la deprivazione sia con intensita’ di lavoro molto bassa (469 mila).

Circa un quarto degli italiani (il 24,7% della popolazione, più o meno 15 milioni) «sperimenta il rischio di povertà o di esclusione sociale». Si tratta di un valore – rileva l’Istat nel rapporto annuale presentato lunedì a Roma, alla Camera dei Deputati, dal presidente dell’Istituto, Enrico Giovannini – superiore alla media Ue che è del 23,1%.

Crescita peggiore in Ue. “Nel decennio 2001-2010 l’Italia ha realizzato la performance di crescita peggiore tra tutti i paesi dell’Unione europea”. Il paese è “fanalino di coda nell’Ue per la crescita”.

Le famiglie italiane, per salvaguardare il livello dei consumi, hanno progressivamente eroso il loro tasso di risparmio, ”sceso per la prima volta al di sotto di quello delle altre grandi economie dell’Uem”, ovvero dell’eurozona.

Nel 2010, evidenzia l’istituto di statistica, il reddito disponibile delle famiglie e’ tornato a crescere (+1%), dopo la flessione del 3,1% del 2009. Tuttavia, considerando l’inflazione, il loro potere d’acquisto ha subito una riduzione dello 0,5% rispetto al 2009, anno in cui era stato gia’ registrato un consistente calo del 3,1%. Anche la spesa per consumi, dopo la flessione dell’1,8% del 2009, ha ripreso a crescere, aumentando del 2,5% in termini nominali e dell’1% in quantita’. La dinamica dei consumi, piu’ sostenuta rispetto a quella del reddito, ha dunque ulteriormente ridotto il risparmio, diminuito in valore assoluto del 12,1% nel 2010 rispetto al 2009, quando si era gia’ avuta una riduzione del 12,6%.

In Italia ”la crisi ha portato indietro le lancette della crescita di ben 35 trimestri, quasi dieci anni” e l’attuale ”moderata ripresa” ne ha fatti recuperare 13. L’Istat sottolinea che el decennio 2001-2010 l’Italia ”ha realizzato la performance di crescita peggiore tra tutti i Paesi dell’Unione europea, con un tasso medio annuo di appena lo 0,2% contro l’1,3% registrato dall’Ue e l’1,1% dell’Uem”.

Scuola, 18,8% di abbandoni prematuri. Ma se l’economia arranca, i fenomeni sociali non sembrano attraversare un migliore stato di salute: in Italia, nel 2010, gli abbandoni scolastici prematuri rimangono consistenti, al 18,8 per cento. Il dato è più alto tra i ragazzi, 22,0 per cento contro il 15,4 delle ragazze. L’obiettivo fissato dal Pnr (15-16 per cento) non appare particolarmente ambizioso e non consente un avvicinamento deciso rispetto agli obiettivi comunitari. È quanto emerge dal “Rapporto annuale sulla situazione del Paese nel 2010” elaborato dall’Istat, in riferimento alla Strategia Europa 2020 che delinea le grandi direttrici politiche per stimolare lo sviluppo e l’occupazione nell’Ue.

Nella Strategia gli abbandoni scolastici prematuri devono essere contenuti al di sotto della soglia del 10 per cento. Il fenomeno dei giovani (20-24 anni) che hanno abbandonato gli studi senza conseguire un diploma di scuola media superiore interessa tutti i paesi dell’Unione (media 14,4 per cento). Sono forti le disparità tra gli Stati che già hanno raggiunto o sono prossimi all’obiettivo (paesi del Nord Europa e molti tra quelli di più recente accesso) e alcuni paesi del Mediterraneo (Spagna, Portogallo e Malta), dove le quote di abbandono superano il 30 per cento. Quasi ovunque l’incidenza è superiore tra i ragazzi rispetto alle ragazze.

Giovani. Per l’Istat ”In Italia l’impatto della crisi sull’occupazione è stato pesante. Nel biennio 2009-2010 il numero di occupati è diminuito di 532 mila unità”. I piu’ colpiti sono stati i giovani tra i 15 e i 29 anni, fascia d’età in cui si registrano 501 mila occupati in meno.

Nel 2010, inoltre, sono poco oltre 2,1 milioni, 134 mila in più rispetto a un anno prima (+6,8%), i giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano e non frequentano alcun corso di istruzione o formazione. Si tratta del 22,1% degli under 30, percentuale in aumento rispetto al 20,5% del 2009. L’Istat nel rapporto annuale 2010 esamina il fenomeno dei cosiddetti NEET (Not in education, employment or training). L’incremento riguarda soprattutto i giovani del Nord Est, gli uomini e i diplomati, ma anche gli stranieri. Infatti, nel 2010, sono 310 mila gli stranieri NEET.

Nel mondo del lavoro, a causa della crisi, si è diffusa ”la condizione di precarietà’, sostiene l’Istat. La quota di lavoratori con contratti a tempo determinato o collaborazioni ha raggiunto ”il 30,8% del totale dei giovani occupati, mantenendosi oltre il milione di unità”.

Donne. L’occupazione femminile rimane stabile nel 2010, ma peggiora la qualitá del lavoro e rimane la disparitá salariale rispetto ai colleghi uomini (-20%). Cresce inoltre i part time involontario e aumentano le donne sovraistriute. I dati sul mondo del lavoro femminile in Italia sono contenuti nel rapporto annuale dell’Istat ‘La situazione del paese nel 2010’.

L’occupazione qualificata, tecnica e operaia, secondo quanto si legge è scesa di 170 mila unitá, mentre è aumentata soprattutto quella non qualificata (+108 mila unitá). Si tratta soprattutto di “italiane impiegate nei servizi di pulizia a imprese ed enti e di collaboratrici domestiche e assistenti familiari straniere”.

Inoltre, lancia l’allarme l’Istat, sono circa 800 mila le donne licenziate o messe in condizione di doversi dimettere a causa di una gravidanza. Si tratta dell’8,7% delle madri che lavorano o che hanno lavorato in passato e la percentuale sale al 13,1% per le donne giovani nate dopo il 1973. In generale, sottolinea l’Istat, il 15% delle donne smette di lavorare per la nascita di un figlio.