Reddito minimo ai bisognosi, 10 mld. Ma tutti gli evasori sono finti poveri

Pubblicato il 30 Aprile 2013 - 11:08| Aggiornato il 26 Febbraio 2023 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Reddito minimo di Letta: costa 10 mld. Ma tutti gli evasori sono finti poveri. “Si potranno studiare forme di reddito minimo per le famiglie bisognose con figli piccoli e proposte di incentivi con part time misti e con la staffetta per la parallela assunzione di giovani”: a partire da questa frase di Enrico Letta in Parlamento, il reddito minimo è tornato al centro del dibattito sul welfare. Non è il reddito di cittadinanza immaginato da Beppe Grillo (costa 18 miliardi l’anno, esteso a tutti i disoccupati non solo ai giovani), ma certo gli fa concorrenza, anche in termini di applicabilità, oltre che di sostenibilità. Dall’entourage di Letta, come nota Roberto Bagnoli del Corriere della Sera, si affrettano a stemperare eccessi di enfasi e di ottimismo, sembrano mettere le mani avanti. Perché la proposta lanciata in Parlamento dal premier è tutta da costruire, è un’ipotesi da approfondire.

La fonte giuslavorista cui attinge Letta è riconducibile all’ambiente bolognese della casa editrice Il Mulino e agli esperti Carlo Dell’Aringa (eletto Pd) e Tiziano Treu (veterano di welfare e Lavoro sotto vari governi) che sul tema hanno prodotti significativi contributi scientifici. Il professore e deputato Carlo Dell’Aringa può solo accennare a grandi linee a una cifra: 10 miliardi di euro l’anno ((“ma è un calcolo del tutto ipotetico che va integrato con le attuali norme di sussidio” è costretto ad ammettere). Il nostro welfare, però, deve seguire il modello europeo, dicono gli esperti di Letta (confortati anche dalle conclusioni dei “saggi” di Napolitano). Spendiamo meno e peggio dei nostri partner europei. Sottolinea ancora Roberto Bagnoli:

“In effetti il nostro Paese, al netto delle pensioni che sono più generose, spende per l’assistenza, la disoccupazione e le case popolari solo l’8% del Pil rispetto al 18% della Francia e il 20% della Germania. I margini di manovra dunque esistono”.

La zavorra che grava sulla nostra stessa capacità di immaginare un welfare diverso, che davvero tuteli i più deboli e i meritevoli di assistenza e sostegno, è, ancora una volta, la grande evasione fiscale del nostro Paese. In questo caso non è il mancato gettito il problema: in assenza di dati fiscali certi, senza sapere chi ha di fronte, come può lo Stato decidere chi è povero e non un semplice evasore? I quali, con l’introduzione di forme di reddito minimo, realizzerebbero un doppio furto con destrezza in un colpo solo: non pagare le tasse dovute e ricevere un sussidio.