“Qui si prega solo Allah…”. Affogare gli infedeli in nome dell’unico dio

Migranti gettati in mare perché cristiani
Migranti gettati in mare perché cristiani

PALERMO – “Qui si prega solo Allah”. Raccontano le cronache dell’ultima traversata di disperati che dall’Africa subequatoriale hanno raggiunto l’Italia che, in nome di questo principio, su un gommone alla deriva tra la Libia e il nostro Paese, abbiano perso la vita 12 migranti. Colpevoli di essere cristiani e di aver invocato non il Profeta ma Gesù quando erano ormai convinti che la loro fuga sarebbe finita in tragedia.

“Su quel gommone con un tubolare già sgonfio c’era chi pregava Dio e chi pregava Allah – raccontano nella loro ricostruzione Francesco Veneziano e Alessandra Ziniti su Repubblica -. Un mormorio basso, continuo mentre il terrore si impadroniva di quei 105 “neri neri” (come li chiamano con disprezzo i trafficanti libici) in arrivo dal centro Africa. ‘Tu, perché non preghi Allah? Allah è l’unico nostro dio’”.

I “neri neri”, perché c’è sempre qualcuno più a sud, qualcuno più nero contro cui rivolgere i propri pregiudizi, dai quei pochi brutali particolari che sono emersi, erano disperati non meno dei ‘semplicemente neri’ che li hanno aggrediti. Il contorno della vicenda che emerge dai racconti dei superstiti è quello infatti di un nuovo viaggio della speranza e della disperazione. Un gruppo di uomini e donne, adulti e ragazzi che dall’Africa centrale e sub sahariana si mettono in cammino (viaggio sarebbe un termine inappropriato) per raggiungere quello che considerano il mondo ricco dove sperano di trovare una vita migliore.

Fuggono dalla fame e dalla miseria, ma non solo, anche dalla guerra, dalla violenza e da quell’odio religioso che ritroveranno ad un passo dalle coste della civile Europa. Percorrono migliaia di chilometri in condizioni miserevoli e disperate e quelli che ce la fanno trovano, alla fine della sabbia del Sahara, le bande di trafficanti di uomini che li butteranno su una bagnarola con la promessa di arrivare in Italia. Ed in Libia trascorrono giorni, settimane ed in alcuni casi mesi prima di essere imbarcati. Giorni, settimane e mesi che sono ancora una volta disumani: costretti a dormire ammassati, senza o con poco cibo e subendo violenze e soprusi di ogni genere.

Questa però è solo la premessa dell’ultima storia sbarcata insieme ai migranti soccorsi. Dalla Libia infatti i “neri neri” ed i ‘semplicemente neri’ sono partiti, in un gruppetto di 3/4 gommoni che in breve si perdono di vista. Uno dei gommoni, nella sua traversata solitaria e disperata comincia a sgonfiarsi, l’acqua da bere non c’è e quella del mare comincia ad entrare, la terra non si vede e a bordo la morte comincia ad essere un compagno di viaggio invadente. La paura cresce e, chi crede, prega. Prega Allah, Gesù e qualunque dio in cui si possa credere ma, nel gommone in questione, un gruppo di musulmani non ci sta e pretende che si preghi il “solo vero dio”. Il loro.

“Ha gli occhi iniettati di sangue il nigeriano che, all’improvviso, mette le mani al collo di un altro giovane che, con le mani giunte e gli occhi rivolti al cielo, invoca Gesù cristo – descrivono ancora le pagine di Repubblica -. Un alterco, un botta e risposta che, in un attimo, trasforma quel guscio di gomma sgonfia in un campo di battaglia di una guerra di religione. Musulmani contro cristiani. ‘Non so cosa ha scatenato l’inferno, forse il tono di voce più alto di quel ragazzo che piangeva e supplicava Dio di aiutarci, di non farci naufragare. Loro sembravano impazziti, lo hanno preso e lo hanno scaraventato in acqua. Solo perché pregava. Abbiamo cercato di fermarli, ma loro erano di più. E ne hanno uccisi tanti… ‘”.

“Loro erano di più”. Questo al di là di ogni indignazione è il punto. Non c’entra in questi casi, come hanno teorizzato alcuni, il supposto odio del mondo musulmano nei confronti dei cristiani. O meglio, c’entra nella misura in cui i primi a bordo del gommone erano più dei secondi. Perché non c’è religione, o almeno non c’è religione monoteista, nel cui nome nella storia dell’uomo non si sia ucciso, stuprato, distrutto e commesso ogni tipo di violenza.

“Apartheid della disperazione” è stata definita da altri la ‘guerra di religione’ consumatasi nel canale di Sicilia. Della disperazione e della paura che generano violenza, e della violenza che è sempre quella dei più forti sui più deboli.

Circola anche altra pietosa ricostruzione dei fatti: non uno scontro e relativo omicidio di gruppo tra musulmani e cristiani ma uno scontro la cui ragione e discriminante non sarebbe stata la fede religiosa ma la nazionalità. Chi vuole può far finta di crederci, è comprensibile e umano si tenti di addolcire la realtà.

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