Coronavirus si è preso mio cugino in Puglia, antichi riti e divieti di oggi. Antonio Del Giudice ricorda

Coronavirus. Mio cugino Vincenzo si è arreso all’alba di sabato. Aveva 63 anni.

La famiglia in quarantena ha avuto il privilegio di assistere alla benedizione della salma in cimitero.

In Puglia i morti di coronavirus non vengono cremati, e devono essere contenti di questo, in un certo senso. 

Meglio che durante l’influenza spagnola fra il 1918 e il 1920, quando il teatro comunale di Andria, un pregevole manufatto in legno, fu trasformato in bare.

Gli “appestati” venivano raccolti nelle strade dove le fogne scorrevano a cielo aperto. 

Ho pregato per mio cugino, la mia supplica non è stata esaudita. Non pregavo da quarant’anni, la fede perduta negli anni giovanili che dovevano cambiare il mondo. Non credo che Dio ce l’abbia con me, se esiste. Anche i credenti, anche il Papa fanno fatica a farsi ascoltare.

C’è un momento laterale della tristezza, un momento che laterale non è. Il coronavirus viene in casa, si prende chi vuole e tu non lo vedi più. Magari vi ritroverete in paradiso o all’inferno. Dipende.

Chi rimane è avvolto nello strazio, un mantello che non copre il dolore del dopo. È la storia ad essere stravolta.

Nel mio paese di contadini, Andria, così come nel Sud d’Italia, la morte in solitaria è una maledizione, è una morte anche per chi resta. La morte, una volta, non era così tremenda.

C’era nel corredo di matrimonio la traversa, un lenzuolo che avrebbe accolto la salma. C’era il vestito migliore per l’ultimo viaggio. C’era la consolazione delle prefiche che magnificavano le virtù del defunto.

C’era l’arrivo silenzioso di quanti avevano conosciuto il morto da vivo. C’erano i candelabri velati e la benedizione del prete, la messa, l’accompagnamento al cimitero: allora con le carrozze a cavallo, oggi con l’avanzo di vecchie automobili prestigiose, un lusso per tutti, ricchi e poveri.

E c’era il consòlo, il pranzo del tramonto, dopo l’accompagnamento al cimitero. La famiglia non doveva accendere il fuoco, come dalla tradizione ebraica. I parenti provvedevano a preparare un lauto banchetto, risarcimento un po’ pagano nella sua allegria melanconica.

Le virtù del trapassato erano l’oggetto del parlare fra un piatto e un bicchiere di vino genuino e imbevibile. La morte assumeva un aspetto umano, tornava a far parte della vita.  

Il coronavirus accatasta le sue bare nell’anonimato. Seppellisce i malcapitati di nascosto, li interra lontani da casa, li crema dove serve.

Il povero morto diventa un pericoloso nemico, anche se è tuo padre, tuo fratello.

Qual è la differenza con la guerra?
 
 
 

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