Fini, dopo sedici anni da complice di Berlusconi (e di Bossi) scopre che è il male assoluto. Amara delusione per molti ex militanti

di Gennaro Malgieri
Pubblicato il 10 Novembre 2010 - 19:27 OLTRE 6 MESI FA

Può un presidente della Camera dei deputati chiedere l’apertura di una crisi extraparlamentare che se si manifestasse davvero, al contrario, per rispetto al suo ruolo, dovrebbe pretendere che venisse parlamentarizzata? Può la terza carica dello Stato “dimissionare” il presidente del Consiglio dei ministri senza provocare un conflitto istituzionale dalle gigantesche proporzioni e dalle inevitabili conseguenze politiche?

Può chi occupa lo scranno più alto di Montecitorio promuovere una scissione parlamentare dal partito in cui è stato eletto ed del quale è stato addirittura cofondatore continuando a restare al suo posto, con tanti saluti a quel “super partes” di cui aveva infarcito il suo discorso d’insediamento? Può il garante del corretto funzionamento della dialettica parlamentare dichiarare defunto il partito (e dunque il gruppo) più numeroso dell’assemblea che guida senza che ciò costituisca pregiudizio al buon funzionamento dei lavori d’Aula? Possono ministro e sottosegretari che a lui fanno riferimento rimettere i loro mandati nelle sue mani di capo partito, ma anche di presidente della Camera, aprendo una ferita nei rapporti con il capo dello Stato e con il premier da quali sono stati nominati?

Domande senza risposte. Eppure chi dovrebbe darle, in tempi recenti si è qualificato “custode” della Costituzione, difensore della legalità, patriota repubblicano. E la sinistra, più disastrata che mai, sempre alla ricerca dell’antagonista giusto per abbattere Berlusconi, non ha esitato ad applaudirlo, vellicandone le ambizioni al punto da fargli annunciare, senza che nessuno glielo abbia chiesto, che sarà candidato premier nel 2013 ben sapendo che a quella data non ci si arriverà: lo faccia adesso se ne ha il fegato.

Quella stessa sinistra che non ha trovato niente di meglio che innamorarsi di tale presidente della Camera soltanto perché ha detto che la riforma dell’articolo 117 della Costituzione è stato un errore che ha attivato un’infinità di conflitti di attribuzione tra Stato e Regioni davanti alla Corte costituzionale, trascurando il non piccolo particolare che lui quella riforma l’ha fortemente sostenuta; che il federalismo è poco meno (o poco più, non s’è capito) di una iattura dopo averlo imposto al suo partito che era diffidente quando non ostile, al punto di provocare la fuoriuscita da An del senatore Domenico Fisichella; ha detto che la legge elettorale è una vergogna, dimenticando di aggiungere che all’approvazione di quella vergogna lui si è dedicato con uno zelo degno di miglior causa e  sui diritti degli immigrati il partito che ha lasciato è il più arretrato d’Europa, ma non ha aggiunto che la legge che regola attualmente i flussi migratori porta il suo nome insieme con quello di Umberto Bossi.

Ma perché, giacché c’era, il presidente della Camera non ha detto anche che per sedici anni ha votato, avallato, promosso, difeso, propagandato, tutte le leggi e le iniziative politiche di Berlusconi oggi respinto come una sorta di “male assoluto” (perifrasi che gli è particolarmente congeniale)? A quest’alto esponente della nomenclatura istituzionale i moribondi di un comunismo che non c’è più, di un cattolicesimo democratico frammentatosi e perdutosi in mille canali, gli eredi di un socialismo senza fissa dimora, perfino radicali privi di ancoraggi certi guardano come ad un salvatore della patria. Li porterà forse ad elezioni anticipate, ma poi?

Il grossolano tattico, non ha una strategia. Il re è, come si dice, è nudo. Quando si saranno consumate le parole che cosa resterà del suo mondo variopinto fatto di abiure e di giravolte? Nulla. Ma è proprio grazie a quel nulla che in Italia si può ascendere alla gloria del potere ed incoronarsi statista, soltanto perché si è sempre stati contro se stessi ingannando coloro che comunque lo hanno assecondato.

Non ci siamo. La terza repubblica, se mai vedrà la luce, non può nascere sugli equivoci. Perciò si dia la parola al più presto agli elettori e si riveli anche ai distratti come è morta o forse non è mai nata la seconda repubblica. Non ci meritiamo, comunque la pensiamo, di assistere ancora a spettacolini di quart’ordine che tuttavia condizionano le nostre esistenze e raccontano di un Paese senza spina dorsale.

Nell’Italia invertebrata c’è naturalmente posto per tutti, perfino per chi la racconta ogni giorno in maniera diversa da come l’ha raccontata in precedenza. Ma a tutto c’è un limite. Anche a considerare “geniale” chi assume le sembianze del cavallo di Troia (senza pagare i diritti ad Ulisse) per penetrare nella cittadella nemica ed annientarla.

Tutto potevamo aspettarci tranne che quel cavallo avesse le sembianze di chi ritenevamo di conoscere come un delfino che prima o poi si sarebbe emancipato per via costituzionale, confortato dal consenso popolare, al punto di diventare il primo. Non è andata così. E c’è chi ha il diritto di soffrirne più di altri. Anche perché nella tragedia istituzionale che si sta consumando, ce n’è un’altra più piccola agli occhi della maggioranza degli italiani, ma più dolorosa per una comunità che in quell’uomo, bene o male si era riconosciuta. E’ una tragedia umana e politica. Comprendiamola, al di là delle lacerazioni con le quali il politicismo ci ha cinicamente abituati a convivere.