Tommaso Cerno: un altro giornalista che passa alla politica. O meglio: un giornalista per il quale è difficile definire il confine fra vocazione e fuga da un momento ingrato della vita professionale . Ma andiamo per ordine.
Partito nel 1995, a 20 anni, come candidato di Alleanza Nazionale alle elezioni comunali della natia Udine, passato come portaborse per l’UDEUR, come dire la post Democrazia Cristiana formato Clemente Mastella e Cirino Pomicino, e per il PDS, il Partito dei Democratici di Sinistra, sta per sbarcare in senato alle ormai imminenti elezioni politiche come candidato del PDS rimasto senza la S, cioè del partito dei democratici e basta, non più necessariamente di sinistra. Una resistibile ascesa grazie alla trasformazione in innamoramento politico di quella che fino a tempi recenti era un’accusa anche contro Renzi, oltre che contro Berlusconi e Grillo, di comportanento mussoliniano.
Renzi ha ricambiato di cuore l’inversione a U affascinato anche dalla strenua difesa giornalistica a favore della sua bella protégée Maria Elena Boschi, nota anche per le cronache bancarie. Tanto affascinato, Renzi, da non escludere neppure l’ascesa di Cerno alla poltrona di segretario del partito. E dire che nel suo recente libro “A noi! – Cosa ci resta del fascismo nell’epoca di Berlusconi, Grillo e Renzi ”, Cerno ha messo in luce gli aspetti del mussolinismo che contraddistingue tutti e tre i politici citati nel titolo e come il tratto distintivo della politica italiana in blocco sia rimasta anche oggi di stampo tutto sommato fascista.
Parlare di coerenza o di voltagabbanismo è superfluo oltre che inutile, fuori luogo. I tempi sono quelli che sono, la minestra che passano i vari conventi sa sempre di ribollita un po’ stantia e grande è il disordine sotto il cielo. Cosa, quest’ultima, che potrebbe anche rivelarsi positiva stando al noto e ottimista motto di Mao Tzedong: “Grande è la confusione sotto il cielo, dunque la situazione è eccellente”. Inoltre per essere onesti bisogna dire che Cerno a Udine si candidò sì tra i neofascisti di Alleanza Nazionale, ma non tanto perché fosse fascista anche lui, cosa facile a 20 anni, quanto invece perché da bravo omosessuale militante voleva dare il nome di Pier Paolo Pasolini al teatro comunale di Udine e si illudeva che la destra fosse lo spazio più fertile per sostenere la parità di diritti dei gay. Un impegno, quello per gli omosessuali, che ha portato Cerno nella direzione nazionale dell’Arcigay e a essere tra gli organizzatori del Gay Pride di Venezia del 1997 per sostenere le unioni civili. Cerno su questi temi ha dato battaglia anche in tv, per esempio a La7quando con un pizzico di ironia è vantato di essere “omosessuale alto, bello e biondo”
Diventato giornalista professionista nella redazione udinese del Messaggero Veneto nel 2004, la carriera di Cerno è di tutto rispetto. Nel 2009 è redattore a L’Espresso, dove dopo cinque anni, cioè nel 2014, diventa vice caporedattore del settore Attualità, quello cioè più contiguo alla politica, per poi tornare nello stesso 2014 al Messaggero Veneto in veste di direttore e, dopo soli due anni, tornare in veste di direttore a L’Espresso. Non manca neppure un’esperienza come conduttore televisivo, infatti nel 2015 nel programma D-Day racconta ai telespettatori di Rai3 quattro puntate di approfondimenti sulla seconda guerra mondiale. Per infine approdare nello scorso ottobre a Repubblica come condirettore, allo scopo, si è detto, di commissariare di fatto la non eccelsa direzione di Mario Calabresi. Dicono a Repubblica e è stato rilanciato sul web che Cerno abbia cercato anche di usare la candidatura per ottenere la direzione del giornale. Potrebbe trattarsi di accuse non fondate. Però a Repubblica dicono anche che nei suoi 90 giorni a Repubblica Cerno è sempre stato attento in modo maniacale a tutti gli articoli riguardanti Renzi e il PD, anche chiedendo attenzione e articoli su iniziative ancora ignote anche alle agenzie di stampa, quasi che l’input fosse arrivato direttamente da Matteo, come Cerno chiama confidenzialmente l’inquilino principale del Nazareno. E a molti non è piaciuta la voce secondo la quale il loro condirettore il Natale lo ha voluto passare in casa Boschi ad Arezzo per confortare a bella Maria Elena bombardata da tutti i lati con accuse e sospetti ingenerosi per le note faccende bancarie.
Parlare del collega Tommaso Cerno permette dunque di prendere due piccioni con una fava: permette infatti di cogliere le debolezze, gli opportunismi, le smemoratezze e i cambi di casacca che caratterizzano in particolare oggi il mestiere del giornalista e il mestiere del politico: comportamenti in parte dovuti magari anche a “cosa ci resta del fascismo”. Certe acrobazie però le abbiamo già viste con Giuliano Ferrara, ed è strano che oggi nessuno le ricordi: da comunista figlio di papà e di mammà (entrambi di peso nel partito della falce e martello), cresciuto da bambino a Mosca, ambizioni di grande carriera a partire addirittura da Torino, come responsabile cittadino e nella fabbriche, compreso l’allora colosso FIAT, del Partito Comunista Italiano (PCI), e per buona misura anche consigliere comunale.
Grazie alle amicizie paterne e materne, Ferrara a Torino ci era stato spedito dalla natia Roma per regalargli un prestigioso trampolino di lancio nel cielo del Partito, ma lui invece, non essendo riuscito a sfondare a Torino, ha preferito trasformarsi in giornalista in carriera, anche televisiva, al servizio convinto di Bettino Craxi, cioè del segretario e premier socialista bestia nera del PCI, ormai in fase calante. Per infine arruolarsi nella corte di Silvio Berlusconi, che lo premierà non solo con un posto in parlamento, ma anche con una poltrona di ministro: ministro per i Rapporti col parlamento. Con annessa pensione tuttora perdurante, oltre a quella di giornalista, nel caso ce l’abbia.
Anche se la sua carriera giornalistica surclassa quella di Ferrara e il suo futuro politico, propiziato non da amici di papà e mammà, promette molto di più della poltrona di ministro dei Rapporti col parlamento del primo Governo Berlusconi, con Cerno siamo in un mondo diverso, più complesso e meno lineare, da quello della grandiosità voltagabbanesca della parabola ferrarana. Siamo più vicini al bricolage e al mondo descritto dal giornalista Ugo Degl’Innocenti nel suo libro sui rapporti fra giornalismo e politica.