Ebrei: metà dei deportati per spiate italiani, a 5.000 lire

Ebrei
Foto di repertorio Ansa

ROMA – Ebrei italiani: circa la metà dei deportati nei campi di sterminio lo furono a seguito di spiate da parte di italiani. Per la taglia di 5.000 lire su ogni ebreo, per invidia, gelosia, risentimento, opportunismo, paura…Per qualunque dei molti motivi possibili resta il fatto che non solo i fascisti ma anche buona parte della popolazione contribuì alla deportazione nazista. Nel giorno della memoria, il 27 gennaio, vale la pena di ricordare anche questo e cioè che la leggenda degli italiani “brava gente” durante la guerra è appunto una leggenda. Non fummo brava gente in Etiopia (gas e lager) e neanche in Jugoslavia (decimazioni e rappresaglie) e neanche riguardo agli ebrei.

A lungo ci si è interrogati sulle responsabilità dei singoli soldati del terzo reich, sulla loro possibilità di rifiutarsi di eseguire ordini disumani, e ancora una risposta definitiva non c’è. Ma noi, noi italiani, come ci saremmo comportati al loro posto? Male. Decisamente male a giudicare da quel che raccontano le carte degli archivi storici italiani. Su circa 730 ebrei deportati da Roma dopo la retata del 16 ottobre ad esempio, almeno 439 furono traditi o arrestati dagli italiani. Venduti quando andava bene per cinque mila lire e, quando andava male, per rancori o invidie personali.

“Anche la collaborazione spontanea di migliaia di ‘italiani comuni’, di normali cittadini, fu fondamentale per l’arresto di migliaia di ebrei – racconta Amedeo Osti Guerrazzi su La Stampa ­- I poliziotti tedeschi sfruttarono ampiamente i collaboratori italiani: spie, delatori, infiltrati, che agivano nei modi più diversi. Questo lavoro veniva pagato piuttosto bene, dato che su ogni ebreo, in media, veniva messa una taglia di 5.000 lire dell’epoca. A Roma, il comandante della polizia tedesca Herbert Kappler si affidò a gruppi di collaborazionisti, le cosiddette bande, composte in genere da ex informatori della polizia segreta fascista e da criminali comuni, specializzate proprio nella caccia agli ebrei. Una di queste bande, tra il 23 e il 24 marzo 1944, arrestò una dozzina di ebrei che furono immediatamente fucilati nel massacro delle Fosse Ardeatine. A Torino e a Milano, invece, i comandi tedeschi sfruttarono informatori singoli, personaggi che conoscevano personalmente moltissimi ebrei e ne sapevano i nascondigli. I loro metodi di indagine erano spesso raffinati e particolarmente odiosi”.

A fianco delle storie di italiani pronti a rischiare per salvare, o almeno provare a salvare qualche ebreo dai nazifascisti, ci sono quindi le storie, molte, di quelli pronti a tradire, vendere e denunciare. E se cinque mila lire in tempo di guerra potevano far gola, ancor se possibili più odiose sono le storie di italiani pronti a denunciare il vicino, o il negoziante concorrente perché ebreo e con il nemmeno tanto segreto obiettivo di appropriarsi delle sue cose. Un collaborazionista di Torino, tanto per citare, fece arrestare un rabbino presentandosi a casa di questi fingendo di essere ebreo e di avere un parente in punto di morte. Così lo convinse ad uscire dal nascondiglio per andare a recitare le preghiere per il moribondo, finendo invece nelle mani della polizia.

A Roma invece un altro collaborazionista, italianissimo anche lui, aveva un suo metodo preciso: si recava nelle carceri fingendosi un avvocato con agganci nel Tribunale tedesco, in modo da ottenere informazioni sui parenti dei reclusi, informazioni che venivano poi immediatamente girate alla polizia tedesca. A Genova, tanto per tener fede al mito per cui i genovesi son attaccati al denaro, un collaboratore della Gestapo, per massimizzare la redditività delle sue denunce, aveva escogitato un metodo che gli garantiva un guadagno triplo: dopo aver arrestato un ebreo (primo pagamento), fingeva di lasciarsi corrompere (secondo pagamento) e faceva fuggire la sua vittima, che riarrestava immediatamente (terzo pagamento).

A Roma agiva poi la temibile banda della Pantera Nera, così chiamata dal soprannome di Celeste Di Porto, la giovane ebrea tristemente famosa per aver fatto arrestare molti suoi correligionari. Ovviamente con l’aiuto dei suoi sodali italiani. Il comportamento della banda, sostanzialmente privo di motivazioni ideologiche antisemite, era finalizzato al puro e semplice arricchimento: se la delazione o la consegna ai tedeschi di un ebreo fruttava una ricompensa di 5.000 lire, altri introiti arrivavano dal saccheggio della sua casa, dal ricatto (con la falsa promessa della libertà dietro pagamento di un riscatto) e anche dalla tortura, utilizzata per farsi svelare indirizzi e nascondigli di altri ebrei. Episodi che gettano luce su un antisemitismo particolare, privo quasi completamente di motivazioni ideologiche ma non per questo meno sordido, animato dal desiderio di un facile guadagno e spesso da un sentimento di rivincita sociale a spese dei propri concittadini e, in qualche caso, dei propri amici ebrei.

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