Eutanasia silenziosa: si fa ma non si dice. In ospedale, cliniche, famiglie…

Foto d'archivio
Foto d’archivio

ROMA – Si fa ma non si dice. In Italia  l’eutanasia è una pratica vietata, vietata per legge ma ancor prima e ancor più per cattolica morale. Cattolica nel senso però più conservatore del termine. In quel “si fa ma non si dice” si accomodano infatti anche molti credenti, risolvendo così un conflitto tra la regola canonica che vuole solo dio possa decidere quando finisce una vita e la pietà cristiana che vede in realtà spesso sopravvivere a se stesso non più un umano ma un vegetale alimentato e idratato. C’è una medicina che può del tutto artificialmente e senza nulla di naturale in teoria prolungare per anni questa “animazione sospesa”, è davvero questo il volere della divinità?

La risposta ufficiale della Chiesa, e dello Stato che su questo punto in Italia coincidono e si sovrappongono, è inequivoca e secca: si tiene in vita fino a che dio non voglia, si tiene in vita qualunque cosa. La risposta che sempre più spesso gli italiani, le famiglie, i medici, gli infermieri danno è assai diversa e frastagliata. Quando l’ammalato ne ha avuto la possibilità, quando non c’è più nessuna speranza scientifica, quando il medico scuote la testa e il parente annuisce, allora senza che sia mai detto si fa. Si accompagna il malato senza speranza al di là, fuori dalla sofferenza. E lo si aiuta a morire. Anche solo e semplicemente, si potrebbe dire naturalmente, sospendendo cure e pratiche mediche.

“Per noi è un fatto di tutti i giorni. Lo affrontiamo con grande difficoltà, ma sicuri di fare sempre la cosa più giusta – racconta il caposala Michele (nome di fantasia) a Matteo Pucciarelli di Repubblica -. Qui Dio non c’entra nulla. Sono un professionista, ho studiato. Se teniamo in vita artificialmente un paziente, siamo noi che ci stiamo sostituendo a Dio…”.

E Dio e la religione non dovrebbero infatti entrare nelle questioni private di ognuno di noi, almeno in uno Stato che si definisce laico. Ma la realtà non è però questa e le religioni, non solo quella cattolica, entrano eccome nelle questioni private anche di chi non crede o di chi crede ad altro.

Nonostante però la legge lo vieti e la religione la condanni, è in realtà l’eutanasia praticata anche in Italia. Praticata tra mille difficoltà e a macchia di leopardo. Sta infatti all’intelligenza dei singoli medici la scelta. E come sanno tutti quelli che, sfortuna loro, si sono trovati a dover affrontare una simile circostanza, può capitare di incontrare un medico come Michele che, in una struttura pubblica, è umanamente disposto a non accanirsi e a concedere la dolce morte. Ma sanno anche che può capitare l’opposto. Può capitare di incontrare medici non disponibili e anzi disumanamente sordi al dolore, come può capitare, più spesso, di trovare medici magari disponibili ma impossibilitati dalla struttura in cui lavorano.

Racconta il caposala Michele: “A volte basta uno sguardo di intesa, di comprensione, di compassione. ‘Formalmente il medico non può dire ‘va bene, stacco la macchina’ a chi ci chiede un intervento di questo tipo. Ma fa intendere che c’è la possibilità di non accanirsi. Bisogna saper comunicare un concetto ma senza esprimerlo fino in fondo. Tocca fare gli equilibristi con le parole’. Ci sono farmaci che tengono su pressione arteriosa e funzionalità respiratorie: ‘Smettiamo di darli, per esempio. Non facciamo più le cosiddette procedure invasive. Se non c’è alcuna possibilità di ripresa, che senso ha?». Uno degli ultimi casi è avvenuto pochi giorni fa: un uomo di 54 anni con problemi di cuore. Un violento edema, le attività cerebrali azzerate. «Abbiamo aspettato due giorni. Ci siamo confrontati coi familiari, la compagna e la madre; i valori non ci lasciavano dubbi. ‘Non ci sono spiragli. Insistiamo?’. In pochi rispondono di sì, morire a volte è una liberazione’”.

Ma è questa una realtà che esiste solo in alcuni luoghi e rigorosamente pubblici o dallo spiccato carattere laico. Al contrario, la norma nelle strutture private di ispirazione cattolica, e cioè la maggioranza, è quella di opporre alla richiesta di non accanimento un netto rifiuto o, nel migliore dei casi, un “non qui”. E capita persino, non spesso per fortuna, che anche la cosiddetta terapia del dolore venga vista come un peccato.

A riportare in prima pagina un dibattito ormai datato è stata oggi La Repubblica, ma nonostante la “non freschezza” non sembrano in Italia in arrivo novità sostanziali. Il governo Renzi, riformatore su molti temi, in materia non ha ritenuto necessario dire la sua.

I commenti sono chiusi.

Gestione cookie