Imu via, niente tasse: promesse elettorali che i partiti non potranno mantenere

ROMA – ROMA – Via  Imu, taglio delle tasse e anche un bel condono fiscale. Queste solo alcune delle (solite) promesse elettorali che il successore di Mario Monti non potrà fare, ma non mantenere. Il motivo lo spiega Marco Palombi sul Fatto Quotidiano del 17 febbraio. L’Italia ha firmato un’agenda di riforme con l’Unione europea durante il governo Monti. Pareggio in bilancio promesso all’Ue e recessione in crescita, mentre il Pil affonda, potrebbero far sì che le promesse elettorali rimangano solo  promesse per accaparrare voti qua e là.

E a governare in Italia, spiega ancora Palombi, più che il prossimo premier eletto dagli italiani sarà ancora una volta la Germania e l’Europa.

Per Il Fatto Quotidiano il prossimo governo avrà le mani legate sia dal punto di vista del pareggio in bilancio che da quello della leva monetaria e fiscale:

“La faccenda si farà ulteriormente complicata con la legge di stabilità del prossimo anno: dal 2015 scatta, infatti, l’obbligo sancito dal Fiscal compact (approvato in tutta fretta dalla strana maggioranza nell’ultimo scorcio di legislatura) di diminuire la parte del debito pubblico che supera il 60% del Pil di un ventesimo l’anno. In soldi fanno una cinquantina di miliardi l’anno: siccome i conti si faranno sul prodotto nominale – e non quello depurato dall’inflazione – il problema non sarebbe insormontabile se ci fosse un po’ di crescita. Solo che non c’è, e qui veniamo al vero problema.

La recessione. Dall’inizio della crisi abbiamo perso 7 punti di Pil, dice Bankitalia, e l’emorragia non accenna a finire e colpisce ormai la struttura stessa del tessuto produttivo che ha fatto grande l’economia del nostro paese. Sempre dal 2008, per dire, la produzione industriale è scesa del 25%, il suo volume rilevato all’indice grezzo segna 82,9, al minimo dal 1990. Riassunto: le aziende chiudono, aumentano i disoccupati, calano i consumi e le entrate dell’erario. Questa è la spirale, questa è la priorità di qualsiasi governo nell’immediato. Poteri di intervento? Nei limiti di bilancio di cui abbiamo parlato, molto pochi, anche perché lo stato dei conti pubblici non è quello raccontato da Mario Monti in questi mesi (“siamo fuori dall’emergenza”)”.

Anzi, sempre più probabile, con le stime di (de)crescita in rialzo per il 2013, che l’Italia sarà costretta ad una nuova manovra di lacrime e sangue per coprire quelle spese non finanziate per 5-7 miliardi di euro del bilancio di quest’anno, spiega il Fatto:

“Le missioni militari all’estero sono scoperte da settembre, il rinnovo dei contratti di oltre 200mila precari della P.A. da giugno e anche le risorse stanziate per gli ammortizzatori sociali (cassa integrazione in deroga su tutti) scarseggiano. Totale: 5-7 miliardi di euro”.

Quali potrebbero essere le soluzioni? Per Palombi l’unica soluzione dipende dalle scelte della Germania, che negli ultimi anni ha puntato sull’esportazione nei paesi dell’eurozona per abbassare salari ed inflazione. Ma anche questa soluzione non è stata priva di effetti, come spiega Palombi con le parole di Gianfranco Polillo, sottosegretario all’Economia:

“La nostra parte noi l’abbiamo fatta, ora la Germania deve fare la sua. Ha due strade: o rilancia la sua domanda interna aumentando i salari e/o la spesa pubblica oppure consente un certo grado di europeizzazione dei debiti pubblici”.

Ma allora cosa fare? Palombi prova a spiegarlo sul Fatto Quotidiano:

“Tradotto: in una recessione bisogna fare politiche anticicliche e, tra queste, meglio che lo Stato spenda di più piuttosto che tagliare le tasse. Una proposta in questo senso in campagna elettorale l’ha lanciata ad esempio Pier Luigi Bersani sui debiti della P.A. verso le imprese.

Si tratta, ma non c’è una stima ufficiale, di 90 miliardi in tutto che, al momento, non sono registrati dal nostro bilancio: tutti sanno che c’è un debito e che andrà saldato ma, secondo le stesse regole Ue, può essere tenuto fuori dai conti finché lo Stato non paga.

Il Pd adesso propone di stanziare 50 miliardi per rifondere le Pmi emettendo titoli di stato vincolati a quel fine. Il problema? È un’uscita che inciderebbe significativamente tanto sul deficit quanto sul debito pubblico e per fare una cosa del genere – o altre che prevedano questi livelli di spesa – serve il permesso di Bruxelles. Ce lo daranno?”.

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