Parlamentari, chi ha il doppio incarico diserta l’Aula: la manovra li “salva”

ROMA – Parlamentare e avvocato di solito è l’abbinamento più frequente: alla Camera e al Senato i doppiolavoristi sono tanti e finora hanno potuto svolgere l’incarico pubblico e continuare la loro professione in mancanza di una legge apposita. La manovra approvata il 13 agosto scorso ha pensato di definire meglio la disciplina ma in realtà ha solo dato un formale via libera ai “doppiolavoristi” in cambio di un piccolo sacrificio.

In sostanza, in base al decreto, ai senatori e deputati che svolgono un’attività che frutta un reddito pari o superiore al 15 per cento dell’indennità della carica parlamentare, quest’ultima viene dimezzata. L’indennità, alla Camera, è di circa 5.4oo euro netti al mese (poi si aggiungono i rimborsi per le spese telefoniche, di viaggio e per i collaboratori e si arriva a 14 mila euro netti per un parlamentare “semplice”, stipendio che aumenta sensibilmente per un presidente di commissione o chiunque abbia un altro incarico interno).

Insomma l’onorevole dovrà rinunciare, facendo i conti, a 27oo euro circa per continuare tranquillamente a svolgere la propria professione che magari gli frutta altre decine o centinaia di migliaia di euro. Un piccolo sacrificio per accantonare la questione di un eventuale conflitto di interessi che potrebbe sorgere tra le due attività.

Non solo. I doppiolavoristi tra Camera e Senato sono circa la metà dei parlamentari: 446 in tutto. E siccome non sono dotati del dono dell’ubiquità spesso si trovano costretti a sacrificare il loro tempo in Aula per dedicarsi al loro secondo (o primo) lavoro. Ed ecco che, secondo Lavoce.info, sono proprio loro ad avere la maggior percentuale di assenze in Parlamento. Oltre ad essere coloro che, per ovvi motivi, hanno anche la dichiarazione dei redditi più sostanziosa.

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