La nuova amministrazione Usa comincia a tessere la sua tela internazionale, cominciando con la Gran Bretagna, il più vicino alleato per recente tradizione e lingua, e con la Cina, cioè il più grosso contraltare al potere americano nel monmdo, se non ora, tra poco.
Il 3 marzo il primo ministro inglese Gordon Brown andrà in visita a Washington, dal presidente Barack Obama.
Il ministro degli esteri, Hillary Clinton, segretario di stato, ha appena concluso il suo giro di esordio nel nuovo lavoro, che ha snobbato l’Europa e ha puntato direttamente sull’Asia (Giappone, Indonesia, Corea del sud, Cina).
A Pechino, l’ultima tappa, la ragione della scelta è stata chiara. Il governo cinese è oggi il maggior compratore di titoli di stato Usa. Di fatto, quindi, i cinesi finanziano il debito pubblico degli americani.
E la Clinton, facendo infuriare i gruppi più attenti al tema dei diritti umani, si è ben guardata dal parlarne, dicendo poi: sarebbe stato banale che uno nella mia posizione lo facesse, tanto la cosa è ovvia. Ha invece esortato i cinesi, che da tempo avevano manfestato qualche più che motivato duibbio, a continuare a sottoscrivere i Bot americani. Con questi chiari di luna, Parigi val sempre una messa.
Nel viaggio la Clinton ha cercato un suo stile. Se ha taciuto sui diritti umani in Cina (evitandosi peraltro la ritorsione su Guantanamo e Abu Ghraib), è stata molto diretta nel dire che nutre qualche dubbio sull’efficacia delle sanzioni sul governo birmano (anche qui i diritti umani) e nel prevedere un prossimo cambio di comando nella Corea del nord.