Province, Barack Obama, Renzi: prime pagine e rassegna stampa

di Redazione Blitz
Pubblicato il 27 Marzo 2014 - 08:19 OLTRE 6 MESI FA

Il Corriere della Sera: “Il Senato taglia le province”. Gli europeisti senza passione. Editoriale di Beppe Severgnini:

Gli unici che parlano con passione dell’Europa sono i nemici dell’Europa. Lo dimostrano le elezioni amministrative francesi, e il successo di Marine Le Pen; il tripudio della Lega; il referendum (sondaggio?) autonomista in Veneto; l’intervista di Beppe Grillo e il suo imminente tour elettorale (a pagamento), «Te la do io l’Europa». Il paradosso è spiegabile. In ogni Paese i governi, sebbene con diversa convinzione, partecipano al progetto europeo, e i partiti d’opposizione li attaccano. Gli europeisti, davanti a tanta foga polemica, tacciono.
È un’ignavia rischiosa. Non soltanto perché l’elezione diretta del Parlamento europeo — inaugurata tra grandi fanfare nel 1979, poi ridimensionata dalla svogliata partecipazione popolare e dai poteri limitati dell’Assemblea — rischia di replicare la gazzarra vista in alcuni parlamenti nazionali. Il rischio è che i partiti tradizionali rincorrano gli antieuropei sullo stesso terreno.
Nel Regno Unito, i conservatori di David Cameron, insidiati dall’Ukip del folkloristico Nigel Farage, non perdono occasione di denigrare Bruxelles, fingendo di poter vivere fuori dall’Unione. In Italia, Silvio Berlusconi descrive l’euro come una «moneta straniera», senza aggiungere che siamo stati gli unici, in tutta la Ue, a ricavarne danni persistenti. Nei quindici anni dall’introduzione della nuova valuta sui mercati (1999-2014), il prodotto interno pro capite è salito in tutti i Paesi europei, salvo che in Italia, dov’è calato del 3 per cento. Colpa dell’euro o colpa nostra, e di chi ci ha governato?

L’intervista a Barack Obama: “Con il Papa per sconfiggere la povertà”.

Tra Usa e Russia la disfida dei mari, Giochi navali dall’Artico alla Florida. Articolo di Guido Olimpio:
Barack Obama stuzzica l’Orso definendo la Russia «una potenza regionale». Però è un orso che è tornato a nuotare fin sotto le coste dell’America. Da nord a sud. Il Cremlino vuole tenere testa agli Stati Uniti, come ai vecchi tempi dell’Urss. E Mosca non fa nulla per nasconderlo mostrando la bandiera e gonfiando i muscoli. Quanto è avvenuto in Crimea ha solo dato contenuto ai piani di Vladimir Putin. Ristabilire la deterrenza e replicare, quando è possibile, alle spinte della Nato.
Nuovo comando
A metà febbraio fonti militari russe citate dalla Ria Novosti hanno annunciato la prossima creazione di un nuovo comando che dovrà coordinare l’azione nel Polo Nord. Un cuore strategico per difendere «vie marittime, risorse energetiche e pesca» lungo la rotta settentrionale. Gli osservatori occidentali non hanno escluso che la Marina possa schierare, in futuro, anche i sottomarini della classe «Yasen», battelli sofisticati rallentati da problemi di progettazione e costi elevati. Intanto hanno mandato in pattuglia gli altri sub. Attività coordinate dal centro di Severomorsk e dalla base di Gadzhiyevo, tana dei sommergibili nucleari della Flotta del Nord. Ambizioni che seguono un gesto simbolico. Nell’agosto 2007 i russi hanno piazzato una loro bandiera sul fondo dell’Artico. Adesso vogliono andare oltre.
Una vittoria simbolica che mette nell’angolo un malessere diffuso. La nota politica di Massimo Franco:
Matteo Renzi voleva «dare un segnale». E il segnale è arrivato. La fiducia del Senato alla legge che riduce ruolo e potere delle Province rappresenta una vittoria per il premier e il governo. Il fatto che il disegno di legge sia passato con 160 «sì» e 133 «no», e qualche ironia delle opposizioni, non cancella il valore simbolico dell’approvazione. Né lo riduce la consapevolezza che si tratta di un primo passo. Il premier aveva ammesso che si risparmieranno circa 800 milioni di euro, e dunque non molto. Ma l’esigenza principale era quella di «recuperare un rapporto tra cittadini e pubblica amministrazione. Tremila persona proveranno l’ebbrezza di tornare a lavorare», aveva detto in mattinata dalla Calabria con parole ruvide e irrituali, per un segretario di partito e capo del governo; ma probabilmente popolari.
Gran parte dell’opinione pubblica invoca un taglio comunque alle spese della politica. E il provvedimento che porta il nome del sottosegretario Graziano Delrio va in quella direzione. Permette al premier di non perdere la spinta con la quale annuncia di volere andare «fino in fondo» sulla riduzione degli stipendi dei manager pubblici più pagati; e di ribadire per l’ennesima volta che se il Senato «non sarà superato, smetto di fare politica». Di rilancio in rilancio, Renzi conta di ottenere almeno alcuni risultati prima delle elezioni europee di maggio: un appuntamento sul quale si giocherà non solo la sua credibilità ma il futuro del governo.

La prima pagina de La Stampa: “Lavoro, tensione nel Pd”.

Il Fatto Quotidiano: “I silenzi di Renzi. La lotta all’evsione non si fa perché costa 10 milioni di voti”.

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Il Giornale: “I tagli? Hanno scherzato”. Editoriale di Salvatore Tramontano:

Napolitano, non potendo più es­sere cont­empo­raneamente ca­po dello Stato e premier, come accadeva con Monti ed Enrico Letta, decide di fare il capo dell’opposizio­ne e blocca il taglio della spesa, creando un altro problema a Renzi, che di problemi ne ha già molti di suo, come testimonia la fiducia sul ddl Province. Alla fine ha passato il tur­no, ma con il fiatone. Due soli voti sopra la maggio­ranza assoluta. È il segno di una maggioranza che a Palazzo Madama dovrà sempre affidarsi allo scat­to finale e alla fortuna. Non proprio il massimo per chi deve scalare le rifor­me istituzionali e, ancora più difficile, portare l’Ita­lia fuori da una crisi senza fine. E, sottotraccia, la si­tuazione deve essere anco­ra più rischiosa se nel Pd commentano che il voto è andato meglio del previ­sto. Non è neppure un ca­so che Maria Elena Bo­schi, ministro delle Rifor­me, in mattinata avesse an­nunciato che sul decreto il Consiglio dei ministri avrebbe messo la fiducia. La fiducia è sempre un at­to di debolezza. È il segna­le che si temono imbosca­te. Ma il punto paradossa­le è proprio questo. Non so­no tutti d’accordo nel ta­gliare la spesa pubblica?