Rai, così i nuovi vertici potranno avere super stipendi. Stefano Feltri e Carlo Tecce, Il Fatto Quotidiano

L'articolo di Stefano Feltri e Carlo Tecce
L’articolo di Stefano Feltri e Carlo Tecce

ROMA – “Sabato 1 agosto – scrivono Stefano Feltri e Carlo Tecce del Fatto Quotidiano – il premier Matteo Renzi ha visto il candidato favorito a guidare la Rai: Antonio Campo Dall’Orto, già a capo di La7 e Mtv, uno dei primi renziani. E in serata ha visto Pier Carlo Padoan, formalmente azionista unico della Rai con il ministero del Tesoro. Domani i nomi della nuova squadra di vertice della tv pubblica dovrebbero essere ufficiali”.

L’articolo di Stefano Feltri e Carlo Tecce: Quando le trattative sono così avanzate, di solito si comincia a parlare di soldi. Che nel caso della Rai sono un aspetto rilevante della questione: ormai quasi nessuna poltrona pubblica può ancora offrire gli stipendi che promette viale Mazzini. Sia per il presidente che dovrebbe avere un minimo di 100-200mila euro (a salire in base a quante deleghe avrà). Ma soprattutto per il direttore generale, e poi destinato a trasformarsi in amministratore delegato, che è autorizzato a sfondare il tetto in teoria universale che fissa a 240mila euro lordi all’anno la retribuzione massima per i dirigenti pubblici.

La storia di questa eccezionalità è istruttiva. Nel bilancio 2014 della Rai, approvato il 25 maggio scorso dall’assemblea degli azionisti (cioè dal ministero del Tesoro), si legge che “L’art. 13 della Legge n. 89/2014 ha riferito il limite massimo ai compensi degli amministratori con deleghe e alle retribuzioni dei dipendenti delle società controllate dalle pubbliche amministrazioni all’importo di 240.000 euro annui”. E la Rai si adegua. Nei gironi successivi il direttore generale Luigi Gubitosi e altri top manager fanno il bel gesto di adeguare al ribasso il proprio compenso. Differenze non di poco conto, visto che il capo azienda ha sempre incassato attorno ai 600mila euro lordi annui, tranne Lorenza Lei che riuscì a trovare il modo di portarlo a 750mila.

Secondo quanto ricostruito da Leandro Palestrini e Aldo Fontanarosa su Repubblica.it il 18 maggio, l’ufficio del personale Rai convoca 42 alti dirigenti “perché firmassero una lettera. C’era scritto che il loro stipendio veniva tagliato a partire da subito. Con la busta paga di maggio, questi dipendenti (Giancarlo Leone, Antonio Marano, Lorenza Lei, tra gli altri) avrebbero ricevuto il corrispettivo mensile di 240 mila euro lordi annui”. Qualcuno prova a obiettare che la Rai è un’azienda normale, anche se controllata dallo Stato, e quindi il tetto non si può applicare. Ma vince la linea dell’austerità. O così sembra.

Perché il bilancio Rai stabilisce anche che l’azienda “potrà procedere all’attuazione dell’iter propedeutico all’emissione in una o più tranches di un prestito obbligazionario non convertibile, fino a un importo massimo di 350 milioni di Euro, destinato a investitori istituzionali, da quotare nei mercati regolamentari”. La parola chiave è “quotare”.

Tutte le norme che si sono succedute dal governo Monti (2011) in poi in materia di tetti agli stipendi pubblici hanno sempre escluso le aziende controllate dallo Stato che emettono titoli di debito quotati. Lo spirito doveva essere che quelle con una struttura finanziaria complessa devono poter assoldare i migliori professionisti sul mercato, che costano. Ma nella pratica l’effetto è che basta fare le giuste scelte finanziarie. Il 20 maggio 2015, due giorni dopo che Gubitosi aveva convocato i dirigenti per tagliare i loro stipendi, l’agenzia Reuters comunica che la Rai ha avviato il collocamento di un bond da 350 milioni. Addio tetto.

La nuova riforma renziana non si pone il problema: si limita a stabilire che “il consiglio di amministrazione, su indicazione dell’assemblea, determina il compenso spettante all’amministratore delegato”. Quindi decide di fatto il governo, senza limiti. Antonio Campo Dall’Orto può sperare di avere anche lui 5-600mila euro come i predecessori.

Il fatto che il governo abbia deciso di procedere con le nomine usando la vecchia legge Gasparri del 2004 invece che aspettare l’approvazione anche alla Camera della riforma apre poi interessanti opportunità per Campo Dall’Orto. Secondo un’usanza inimmaginabile nel settore privato, i direttori generali della Rai si facevano anche assumere a tempo indeterminato. Quando cambiava il partito al potere, venivano accantonati ma non perdevano lo stipendio. La riforma prevede espressamente che non può essere dipendente della Rai: se anche lo fosse al momento della nomina, prima deve dimettersi e poi accettare la carica di amministratore delegato. Ma la riforma, appunto, non vige ancora. Quindi Campo Dall’Orto in teoria può ancora fare in tempo a farsi assumere (…).

 

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