Un resort sul colle dell’Infinito di Leopardi

Monte Tabor
Monte Tabor

ROMA – Verrà costruito un resort sul colle dell’infinito di Giacomo Leopardi. I versi li abbiamo imparati a memoria a scuola: “Sempre caro mi fu quest’ombrellone / e questa sdraio che da tanta parte / dell’ultimo orizzonte il guardo esclude”. Ora su quel colle (il monte Tabor) il Consiglio di Stato ha autorizzato nuovi edifici privati, con una Country Hous.

La vicenda raccontata da Fabio Isman del Messaggero:

Il Colle dell’Infinito, in realtà si chiama Monte Tabor; è un parco, vicino al Centro studi sul poeta e al palazzo di famiglia; un sentiero porta al luogo dove, forse a 20 anni circa, Leopardi scrisse il capolavoro. Il Colle è anche in un altro componimento, dei tanti che ha scritto, la poesia «Alla Luna»; il poeta, infatti, veniva proprio qui, «pien d’agoscia a rimirarti», come scrive al «grazioso» nostro satellite, per suscitare davanti ad esso «il rimembrar delle passate cose». Insomma, questo Colle è ancora il «suo» paesaggio; e se sopra il versante Sud, si è già costruito in passato, e ormai i nuovi edifici l’hanno adulterato, dall’altro, verso la strada chiamata «del passero solitario», il panorama era rimasto intatto. Soltanto una casa colonica, dell’Ottocento, che ben si «sposa» al paesaggio rurale, e si apprezzano i campi, tra il Colle e una torre, che stimolarono i primi anni di vita del maestro della letteratura.
NON SOLO RESTAURI
È l’unica zona integra del paesaggio leopardiano: anche per questo i tentativi di salvarla sono stati molteplici; ma, dopo la sentenza di ieri del Consiglio di Stato, assolutamente vani. Non ci sarà, come chiedevano i ricorrenti, soltanto un restauro conservativo della casa colonica esistente; ma i quattro edifici rurali che ci sono (anche il fienile, la porcilaia, il deposito d’attrezzi) potranno ora essere demoliti e «ricostruiti ben più grandi e spostati in pianta», come afferma la soprintendenza, per creare una «grossa Country House» anche con ombrelloni e sdraio, e perfino un parcheggio interrato. «Non siamo contenti – sottolinea il conte Vanni Leopardi – Il paesaggio va tutelato. Una cosa è ristrutturare una casa colonica ma accettare che vengano modificati i volumi e realizzato un parcheggio, non è un bene».
A nulla è valso il vincolo, posto dall’architetto Francesco Scoppola che è direttore generale dei Beni culturali nella Regione, dato che è stato annullato per un vizio di forma; a nulla le proteste di intellettuali e delle maggiori associazioni ambientaliste; a nulla le prese di posizione, comprese quella dei soprintendenti Stefano Gizzi (architetto) e Lorenza Mochi Onori, celebre studiosa d’arte. Purtroppo, il piano regolatore del 2012, pur sottolineando l’importanza di salvaguardare l’area, non era entrato nei dettagli, e non aveva stabilito particolari vincoli d’inedificabilità; così, «l’ultima area agricola limitrofa al centro storico rimasta intatta» a Recanati (spiega sempre la soprintendenza) si è trovata, per così dire, indifesa.
LA DECISIONE
E la VI sezione del Consiglio di Stato, presieduta da Sergio De Felice e composta da Roberto Giovagnoli, Vito Carella, Claudio Contessa, estensore Giulio Castriota Scanderbeg, che discende dal celebre pratriota albanese Giorgio, hanno dato ragione ai privati, e torto agli stessi uffici statali.
La sentenza sulla conversione del casale, i cui lavori erano stati sospesi a ottobre 2013, rileva la carenza di motivazioni nel parere negativo della soprintendenza sul progetto: «per più profili apodittico, non spiega i contrasti tra il recupero dei vecchi immobili fatiscenti e i valori paesaggistici». La Soprintendenza tace poi con che mutamenti avrebbe potuto autorizzarlo. Per cui, con il Comune in «leale interlocuzione con la parte privata», (ironia dei nomi: Anna Maria Dalla Casapiccola), deve ora «riattivare il procedimento» su cui fornire il parere, ma «nei limiti delle attribuzioni e con indicazione esplicita e dettagliata delle condizioni» in cui edificare è lecito.
Questo accade in Italia, dove ogni giorno, secondo la denuncia di «Salviamoilterritorio», si consumano sette ettari di paesaggio; e dove, spesso, basta una decisione della magistratura a vanificarne la salvaguardia; come a Venezia, dove il Tar ha riammesso nel Bacino di San Marco il transito delle Grandi Navi.

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