“Si può fingere per convincere? Doppio passo di Grillo”, Cazzullo sul Corriere

di Redazione Blitz
Pubblicato il 31 Ottobre 2013 - 09:28 OLTRE 6 MESI FA
beppe grillo

Beppe Grillo (LaPresse)

ROMA – “Non si può fingere per convincere”, questo il titolo dell’articolo di Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera del 31 ottobre. “Napolitano sotto accusa? Ma no, è solo una finzione politica…”. La cronaca dell’arringa di Beppe Grillo ai suoi parlamentari, pubblicata ieri dal Fatto Quotidiano, è molto istruttiva. Dice il leader: “Noi parliamo alla pancia della gente. Siamo populisti veri. Non dobbiamo mica vergognarci. L’impeachment del presidente della Repubblica ad esempio è una finzione politica per far capire da che parte stiamo”.

Ora, che il capo di un partito pratichi la finzione, vellichi gli istinti degli elettori, si lanci in battaglie impossibili da vincere ma utili per far passare un messaggio o incassare un dividendo, non può scandalizzare: l’hanno fatto in molti, lo fanno, lo faranno. Colpisce però che a teorizzare un simile metodo sia il leader che ha fatto della trasparenza la sua parola d’ordine, e si è presentato come l’outsider in grado di smascherare i giochi, le manovre, le trame dei politici di professione. Ma l’episodio ha un significato che va oltre la figura pur rilevante di Grillo.

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Lo straordinario successo elettorale del Movimento 5 Stelle è il segnale di un fenomeno non soltanto italiano. Nelle società occidentali si sta facendo strada uno schema che colloca la politica e i media tradizionali in una sfera alta, quella della rappresentazione, della finzione, del politicamente corretto; mentre in basso ci sono la Rete, la vita vera, le cose come stanno, e ovviamente il blog di Beppe Grillo. È uno schema falso; ma il fatto che sia falso non significa che una parte dell’opinione pubblica non ci creda. Ma ora è proprio Grillo a inscenare la rappresentazione, «la finzione politica» come la definisce lui stesso, salvo svelarla dietro le quinte ai suoi parlamentari.

Con l’accusa di populismo l’ex comico ha giocato in campagna elettorale, invitando il pubblico a ripetergli la critica che veniva dai vecchi partiti: «Populista!». Ora dalla recita è passato alla rivendicazione. Ma essere populisti non significa fare gli interessi del popolo. Significa assecondarne le pulsioni, liberare il linguaggio dell’insulto e della minaccia, rinfocolare il falò della rabbia che tutto brucia senza distinguere il capace e l’incapace, l’innocente e il colpevole, il meritevole e il barone. Significa vellicare il gigantesco piagnisteo che trova nelle difficoltà quotidiane varie motivazioni, ma rappresenta la reazione più inutile e a lungo andare controproducente. Significa alimentare il livore, il rancore, la frustrazione che appaiono il tono medio dell’Italia nel punto più basso della sua crisi.

Grillo in questi mesi non ha solo detto parole incendiarie e offensive. Non si prende il 25% dei voti degli italiani suonando solo queste corde. Nel grande comizio di piazza San Giovanni, che alla vigilia delle elezioni misurò il consenso dei 5 Stelle e spostò altri voti da sinistra verso di loro, Grillo usò anche un tono accorato e senza dubbio sincero per raccontare quel lungo giro d’Italia che gli altri leader non avevano fatto, quella via crucis nei disastri e nelle vergogne del Paese, e concluse: «Io non ce la faccio da solo a sopportare tutto questo dolore». (…)

Sbagliano i politici tradizionali a dare il Movimento 5 Stelle per moribondo. Finché avremo troppi parlamentari, non scelti da noi, troppo pagati, troppo liberi di fare affari con la politica, ci sarà sempre carburante nel motore di Grillo. Ma sbaglia anche lui nel pensare che si possa costruire, se non una forza di cambiamento, almeno un consenso duraturo soffiando sul rogo dell’indignazione, misurandola con un sondaggio online e dicendo sempre e solo quel che molti italiani vogliono sentirsi dire. (…) È la rivolta rabbiosa e indiscriminata contro tutti, banchieri e migranti, deputati e clandestini, che viene aizzata nei comizi (che Grillo chiama «spettacoli»), registrata via web, e imposta come linea politica in una riunione segreta in cui il capo spiega ai suoi che in realtà si fa per finta.