Il cellulare può causare un tumore. Corte d’Appello Torino: il nesso c’è. ISS: “Sentenza senza base scientifica”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 14 Gennaio 2020 - 15:31| Aggiornato il 15 Gennaio 2020 OLTRE 6 MESI FA
Il cellulare può causare un tumore. Corte d'Appello Torino: il nesso c'è. Cioè, più probabile sì che no

L’uso prolungato del cellulare può causare tumori, la sentenza di Torino (Ansa)

ROMA – L’uso prolungato del telefono cellulare può causare tumori alla testa. Lo sostiene la Corte d’Appello di Torino che ha confermato la sentenza di primo grado del Tribunale di Ivrea, emessa nel 2017, sul caso sollevato da un dipendente Telecom Italia colpito da neurinoma del nervo acustico. Il pronunciamento riapre il dibattito, ma l’estate scorsa un rapporto curato da Istituto Superiore di Sanità, Arpa Piemonte, Enea e Cnr-Irea non ha dato conferme all’aumento di neoplasie legato all’uso del cellulare.

“Una sentenza senza base scientifica”.

Una sentenza, quella della Corte d’Appello di Torino, che non è fondata su una base scientifica. A sostenerlo è Alessandro Vittorio Polichetti, primo ricercatore dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss).

 “L’ipotesi – spiega – che l’uso prolungato del cellulare possa causare tumori alla testa”, alla base della sentenza della Corte d’Appello di Torino, “non è fondata su una base scientifica. Finora, nessuna correlazione è stata provata tra i campi elettromagnetici dei cellulari e l’insorgenza di tumori. Ci sono solo dei sospetti di cancerogenicità ma non confermati”.

Già nel caso della sentenza di primo grado del 2017, confermata in appello, ricorda l’esperto di radiazioni elettromagnetiche dell’Iss, “ci esprimemmo sottolineando che la decisione non era fondata su una base scientifica. E, da allora, anche le successive evidenze non hanno fatto altro che confermare questa impostazione, comprese quelle esaminate nel Rapporto Istisan, realizzato dall’Iss in collaborazione con Enea, Cnr e Arpa Piemonte nel 2019, che raccoglie i risultati di tutti gli studi in materia”.

L’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc), nel 2011 ha classificato, sulla base di studi epidemiologici, i campi elettromagnetici a radiofrequenza come possibili cancerogeni, ma questo significa, spiega Polichetti, che “di fatto, nessuna correlazione è stata ancora stabilita”, a differenza delle sostanze classificate come certamente cancerogene per l’uomo (raggi UV, alcol, sigarette) e di quelle probabilmente cancerogene, ovvero il cui nesso col tumore è stato dimostrato sugli animali (come il consumo di carni rosse). Il tema è stato ampiamente studiato in tutto il mondo, ma “i pochi studi che hanno mostrato qualche debole evidenza sul legame tumori e cellulari, erano limitati da problemi metodologici, dovuti al fatto che sono indagini retrospettive condotte su persone che hanno avuto una diagnosi di tumore e che, nel ricordare l’uso fatto degli smartphone negli anni precedenti, potrebbero esser portate a sovrastimarne l’utilizzo”.

La sentenza della Corte d’Appello di Torino.

Secondo la Corte “esiste una legge scientifica di copertura che supporta l’affermazione del nesso causale secondo i criteri probabilistici ‘più probabile che non'”. A prescindere dalla vicenda individuale, è chiaro che un nesso causale certo e inequivocabile ancora non è stato trovato. In questo caso sembra prevalere il principio di precauzione. 

A Roberto Romeo, 57 anni era stato diagnosticato il tumore dopo che per 15 anni aveva usato il cellulare per più di tre ore al giorno. “Ero obbligato ad utilizzare sempre il cellulare per parlare con i collaboratori e per organizzare il lavoro – racconta l’uomo -. Per 15 anni ho fatto innumerevoli telefonate anche di venti e trenta minuti, a casa, in macchina. Poi ho iniziato ad avere la continua sensazione di orecchie tappate, di disturbi all’udito. E nel 2010 mi è stato diagnosticato il tumore. Ora non sento più nulla dall’orecchio destro perché mi è stato asportato il nervo acustico”.

Insomma, la sentenza di Torino (anche a Brescia un caso analogo) favorisce Romeo nella controversia di lavoro che lo opponeva alla sua azienda, riconoscendo diciamo cosi la causa di servizio. Ma di qui a dire che i cellulari sono collegati all’insorgenza di neoplasie ce ne corre. Specie dopo le evidenze contrarie rappresentate da tutte le agenzie scientifiche preposte al giudizio. La sentenza della Corte d’Appello di Torino condanna infatti l’Inail a corrispondere una rendita vitalizia da malattia professionale. (fonte Ansa)