L’arrembaggio al galeone di Marco Doria. il marchese diseredato, candidato sindaco al trono di Genova per il centro sinistra, della storica famiglia, è cominciato a una settimana dal voto. I suoi concorrenti diretti, come il candidato sindaco “civico”, appoggiato dall’Udc, il professor Enrico Musso, gli hanno sparato cannonate, accusandolo di essere tutt’altro che diseredato, visto che il suo patrimonio di erede Doria comprende ventuno appartamenti per un valore complessivo di 30 milioni di euro, alla faccia del candidato di sinistra radicale, appoggiato da Sel e compagnia cantante. Doria, che è imparentato molto alla lontana col mitico Andrea Doria, l’ammiraglio, il Doge della Repubblica cinquecentesca (lo stipite di parentela tra i rami di quella famiglia, che lega il Grande Doria a questo prof di 54 anni, schivo e anche un po’ impacciato, risale al 1300 e i sotto rami Doria sono nella storia almeno 32), risponde sdegnato, rivolgendo la prua verso il largo. Ma ecco che all’assalto della ciurma di centro sinistra partono i grillini. Il candidato di Beppe Grillo, genovese doc, comico-demagogo-rivoluzionario, un certo Paolo Putti alza il tiro del fuoco contro l’establishment politico “ufficiale” proprio a Genova, città laboratorio di queste elezioni-estreme della Seconda o Terza Repubblica, dove proprio quel Beppe Grillo è concittadino, dove il disfacimento della forma partito è più evidente, dove la corsa a sindaco, con tredici concorrenti e 47 liste, è la plateale dimostrazione della fine di un’epoca. A sette giorni dal fatidico 6 maggio, che marcherà il patatrac di quei partiti, lo scatto dei grillini è più che evidente. Secondo i sondaggi segreti ( gli ultimi ufficiali e regolari attribuivano al marchese, diseredato ma non troppo, un vantaggio incolmabile e la probabile vittoria al primo turno…..) la rimonta dell’ antipolitica è forte e evidente. Sommata ad una fuga dal voto calcolabile in un 45 per cento (alle ultime elezioni regionali del 2010 l’assenteismo era già al 40 per cento), potrebbe produrre all’eventuale secondo turno un incredibile ballottaggio tra il Doria e il candidato grillino, il ragazzo Paolo Putti, con l’esclusione dei cavalli “moderati” o centristi, come il civico Enrico Musso e il Pdl Pierluigi Vinai, il candidato clericale, protetto dalla Curia dell’arcivescovo Bagnasco, dal Vaticano del cardinale Bertone e dai cosidetti poteri forti, essendo tra l’altro vice presidente, sospeso per la campagna elettorale, della Fondazione Carige. Il match Doria-Grillo sarebbe un esisto clamoroso di una campagna elettorale che va avanti in modo confuso, nella quale i candidati sembrano una compagnia di giro, una giostra che compare da un palcoscenico all’altro della città, ma senza mai scontri troppo diretti in pubblico tra i singoli contendenti. Musso sfida Doria in un faccia a faccia, ma il marchese rifiuta e i suoi confidano che è meglio evitare apparizioni pubbliche troppo evidenti: il loro campione appare impacciato e molto rigido. I candidati, così, si vedono tutti o quasi seduti su palchi lunghissimi, nei quali manca sempre qualcuno di loro e così le sfide vanno avanti come nella storica vecchia Repubblica marinara, con complotti segreti o pozioni di veleno, inoculate nei calici delle vittime. Giusto come ai tempi dei Fieschi e dei Fregoso. E non era una pozione velenosa svelare il patrimonio del marchese diseredato perchè negli anni Sessanta suo padre Giorgio fu abiurato dal genitore per essersi proclamato comunista? Se era diseredato, come faceva ad avere, il suo discendente diretto, ventuno proprietà immobiliari e financo un sesto di un mirabolante palazzo della mirabolante via Garibaldi, detta la strada dei Re, patrimonio dell’Unesco? Quella pozione è stata servita dal professor Musso, che ha aggiunto anche il distillato di una invettiva a Doria, erede all’Università della cattedra in Storia delle Dottrine Economiche, dal padre Giorgio. Marco Doria sì che di fronte a queste raffiche si comporta da nobile e segue il consiglio di padre Dante, “non ti curar di loro, ma guarda e passa”. Il fatto è che “guardare e passare” tra i genovesi non è facile di questi tempi, a dimostrazione del giudizio che lo stesso padre Dante, proprio prendendo spunto da un antenato più o meno diretto di Giorgio, Branca Doria, dava dei genovesi: “Ahi Genovesi, uomini diversi, / d’ogne costume e pien d’ogne magagna, / perché non siete voi del mondo spersi?” (inferno, canto XXXIII. Secondo Dante, Branca Doria era così malvagio che fin’ all’inferno anni prima di morire, mentre il suo corpo sulla terra veniva occupato, ad interim, da un demonio). Nella sordida battaglia elettorale avvengono cose mai viste, soprattutto a sinistra, dove i grillini sono come formiche inarrestabili, che stanno corrodendo il legno dei galeoni Pd. La sindaco uscente Marta Vincenzi, scornacchiata alle Primarie dallo stesso Doria, dopo avere lasciato sul terreno polpette avvelenate per il prossimo sindaco chiunque egli sia, lo stesso Doria o altri, come il bilancio comunale non approvato e da approvare in quindici giorni dopo la elezione, pena il default genovese o la decisione sulla costruzione della moschea, congelata dopo un quinquennio di promesse, frequenta le manifestazioni elettorali della Destra, ma non quelle del suo Pd. “Mi sento come San Sebastiano”, proclama la sindaco trafitta nelle Primarie, alludendo sia ai dardi “amici”, sia a quelli che le piovono ancora addosso per la gestione della tragedia alluvione. Non un leader democratico si spreca per il candidato Doria, se non in qualche passerella formale. Sull’altro fronte la mobilitazione non è diversa per il candidato Pierluigi Vinai, oramai battezzato “l’ultima raffica di Scajola”, nel senso che è stato il leader imperiese a indicarlo, dopo il rifiuto di tanti possibili candidati per la Pdl. Scajola, ingabbiato dallo scandalo del porto di Imperia, ha compiuto con quella indicazione “in articulo mortis” politico, l’ultimo gesto strategico elettorale nella sua Regione. Gli altri leader pidiellini, se mai ne esistono, sono desaparecidos o in fuga come gli elettori del prossimo turno. Se si pensa che il Pd alle ultime elezioni aveva raggiunto a Genova il 31 per cento dei suffragi e il Pdl il 24, si capisce che ogni risultato di oggi, anche dimagrito di molti punti, sarebbe perfino un successo nello scatafascio di partiti e leader più o meno connessi. La città più in generale assiste attonita, ed anche un po’ incazzata, a questa campagna elettorale polverizzata, dove i candidati salgono come per spruzzare con lo spray sull’opinione pubblica frammenti di programma, che sembrano avere lo stesso odore e lo stesso sapore, per tutti uguale. Chi non è d’accordo che bisogna aumentare i fondi per l’assistenza sociale di una città nella quale su seicentomila abitanti trecentomila hanno più di 65 anni, in maggioranza vivono soli e abbandonati in periferie scollegate da servizi pubblici al crak economico: gli autobus dell’Amt, azienda in quasi default, sono sempre più rari, il cittadino automobilista si sente saccheggiato perchè le zone blu di parcheggio oramai “divorano” le strade del centro e sempre più quartieri. Chi posteggia paga, paga, paga fino a quasi due euro all’ora. Raffiche di multe si abbattono anche sui motociclisti che sono in percentuale alla popolazione la maggioranza mondiale e da un mese la Sopraelevata, strada a largo scorrimento, che permette di collegare ai caselli autostradali l’arteria-base del trasporto urbano, spara quotidianamente centinaia di contravvenzioni per eccesso di velocità, dopo che il Comune ha piazzato un micidiale tutor. Nulla è più efficiente del servizio delle contravvenzioni e tra zone blù e tutor e ausiliari del traffico vengono staccate migliaia di multe al giorno. Quando i colpi del Comune non arrivano a segno ci pensa Equitalia con una media di centinaia di notifiche al giorno……. Hai voglia a salire sui palchi elettorali a spiegare che programmi hai contro le stangate e i tagli gover nativi! Come voterà in questa situazione la popolazione attiva o quel che resta di essa, viste le ipotesi di astensione che fanno sentire i cupi rimbombi di un astensionismo che trova rimbalzanti motivazioni: a sinistra i Pd che teorizzano il non voto, giustificando il gesto come il segnale forte politico da dare alla “loro” classe dirigente, capace di infilarsi nel tunnel micidiale delle Primarie, dove hanno perso candidati, faccia e campagna elettorale. A destra il disastro di una classe dirigente, che non tanto a “sua insaputa” si è squagliata dietro i patatrac di Claudio Scajola, sconta una difficoltà storica a costruire un fronte “moderato”. Nei quartieri borghesi, “border line”, come Castelletto dell’altura sopra il centro storico o la hollywodiana Albaro del retro Boccadasse o la compassata Carignano dei larghi viali alberati sopra i carrugi, queste elezioni sono viste con enorme fastidio, ma anche con un prurito , grattando via il quale chi trovi? “Il marchese Marco Doria, almeno è di una famiglia che si conosce”, mormorano, nei salotti obsoleti della città, le vecchie dame per le quali oramai la differenza politica diventa solo dinastico-famigliare. Nelle parrocchie governate da un impegnatissimo arcivescovo Angelo Bagnasco, presidente della Cei, costretto ogni giorno a diffondere il suo verbo, da pastore delle anime, da capo dei vescovi italiani e spesso da contraltare religioso di una società che non è più neppure secolarizzata e infine da contraltare genovese nelle materie incandescenti della crisi dei posti di lavoro e della mancanza di speranza, la politica è come una spina conficcata nella croce. L’imput religioso a votare Vinai, il membro dell’Opus Dei che conciona, giungendo le sue mani piene di anelli e alzando gli occhi al cielo, nominando Domineddio come un buon prevosto, non è neppure tanto forte come si poteva presupporre. Che dire di un candidato che nel suo programma sostiene che l’Imu non la farà pagare, magari dimenticando che il suo partito sostiene Monti e le sue dure scelte? A tanto arriva la demagogia spicciola del panorama di rovine della politica partitica! L’unica bussola, in questo marasma politico e antipolitico, resta la Grande Banca, la Carige, Cassa di Risparmio di Genova e Imperia , il vero potere forte della città e della Regione che proprio alla vigilia del voto sforna il suo bilancio e rinnova il suo cda. Il bilancio è talmente positivo da essere migliore di quello pre-crisi con un utile di 163 milioni di euro. Nel vertice si ridimensiona un po’ il potere degli imperiesi e restano ben saldi il presidente Giovanni Berneschi e il rappresentante delle Coop, Andrea Checconi pezzo forte in una maggioranza azionaria, nella quale i soci privati ottengono più voti dei soci francesi. Che c’entra o ci azzecca questo potere rafforzato dell’unico sbraccio finanziario della città, dove i soldi, i capitali privati, i soci interni e esterni si alleano e rinforzano una banca territoriale sesta in Italia per patrimonializzazione, con la battaglia politico-elettorale? C’entra eccome e non solo perchè quel candidato Vinai è il vice presidente proprio di Fondazione Carige… La superbanca, la Curia con l’arcivescovo Bagnasco sono come le roccaforti, gli argini di una città tumultuosa, invecchiata, dove i muri della politica si stanno sgretolando. Una volta le grandi fabbriche con decine di migliaia di operai, le grandi direzioni delle megaziende Iri, Italsider, Ansaldo, Italcantieri, Italimpianti, i centri direzionali petroliferi Shell, Esso, con altre migliaia e migliaia di impiegati erano i bastioni dentro una città fremente da un punto di vista politico, una città muro contro muro, con un grande porto pubblico che frullava di affari, ma anche di braccia da lavoro, quasi diecimila camalli, altrettanti dipendenti del Consorzio del porto. Oggi tra la superbanca e la Chiesa potente e i resti del grande porto, ci sono solo le ondate della politica in briciole e dell’antipolitica che monta, sale, come una marea. Una città laboratorio davanti alla quale il galeone del marchese Doria affronta grandi ondate, mentre a terra i tumulti dei Ciompi antipolitici si infiammano e lasciano prevedere risultati politici imprevedibili.