L’obbligo dell’indicazione in etichetta scatterà dopo tre mesi dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, avvenuta lo scorso 19 gennaio, del rispettivo decreto del 9 dicembre 2016 firmato dai ministri delle Politiche Agricole Maurizio Martina e dello Sviluppo Economico Carlo Calenda, in attuazione del regolamento (UE) n. 1169/2011. Questo nuovo sistema rappresenta una vera e propria sperimentazione in Italia e consente di indicare con chiarezza la provenienza delle materie prime di molti prodotti come il latte UHT, il burro, lo yogurt, la mozzarella, i formaggi e i latticini.
Ma una circolare, a firma del direttore generale del Mise, Stefano Firpo, al punto 6, recita: “In aggiunta alle diciture di origine previste dal decreto è possibile impiegare diciture con significato equivalente (…) purché le stesse non ingenerino confusione nel consumatore”. Fra le diciture riportate “a titolo esemplificativo”, c’è anche la seguente: “l’indicazione Made in Italy nel caso in cui il paese di trasformazione sia l’Italia”.
In pratica anche il latte tedesco o olandese potrà essere etichettato come prodotto italiano, per il solo fatto che sia stato trasformato nel nostro Paese. L’azienda è comunque obbligata a riportare sull’etichetta l’origine della materia prima ma potrà facilmente nasconderla sul retro o in mezzo a una miriade di altre informazioni.
Così prevede anche l’articolo 60 del Codice doganale comunitario: “Le merci alla cui produzione contribuiscono due o più Paesi o territori sono considerate originarie del Paese o territorio in cui hanno subito l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale ed economicamente giustificata”.
Lo stesso decreto che introduce le etichette trasparenti, all’articolo 1, comma 3, chiarisce: “Resta fermo il criterio di acquisizione dell’origine ai sensi della vigente normativa europea”.