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Italo Bocchino, buon cattolico, articola meglio il pensiero di Fini: “Berlusconi si penta, potrà restare al governo”

di Marco Benedetto |6 Dicembre 2010 10:01

L’intervista di Italo Bocchino a Giovanna Casadio di Repubblica sembra dimostrare che non siamo proprio tutti uguali e che questa regola vale anche per Napoli.

Ieri Adolfo Urso, forse ancora sotto chock per avere dovuto lasciare il governo, forse stressato dalla fatica di coordinare un partito nascente, aveva semplicemente definito come obiettivo del suo gruppo un  ”governo di responsabilità nazionale che metta insieme, senza pregiudizi né steccati, tutte le forze che si riconoscono in un programma di emergenza fondato sul patto per la crescita” che può ancora ”essere guidato da Silvio Berlusconi”.”

Oggi Bocchino è un po’ più articolato, anche se ancora ci deve spiegare perché Fini, lui e gli altri camerati hanno montato tutto questo bel po’ po’ di ambaradam per poi partorire il topolino di un governo guidato o ispirato da Berlusconi e riuscire a toglierci il dubbio che abbiano giocato e giochino pesante le componenti personali: invidia, interferenze femminili, affari.

La conclusione di Bocchino non differisce molto da quella di Urso: “Noi non vogliamo elezioni perché la crisi economica è grave. E non vogliamo ribaltoni: no a un governo di responsabilità che mandi all’opposizione chi ha vinto le elezioni; sì, se è con Pdl e Lega. Se Berlusconi indica un suo nome – Letta, Tremonti o Alfano – va benissimo”.

Sembra un ragionamento da Chiesa cattolica, il pentimento pulisce tutto e riabilita.

Quello che conta, spiega Bocchino, in un nuovo governo è “in primo luogo il programma”, i cui “punti-cardine sarebbero due. Una nuova agenda economico-sociale partendo dall’accordo che Confindustria e parti sociali hanno recentemente firmato; la riforma della legge elettorale non punitiva nei confronti di nessuno, ma che cambi il meccanismo del premio di maggioranza e che preveda almeno la metà dei deputati scelti attraverso i collegi uninominali. Poi è importante la coalizione: vogliamo si torni a quella del 1994. La foto è Berlusconi, Fini, Casini e Bossi: il premier ha espulso l’anima moderata e valorizzato quelli con la bava alla bocca”.

Piccola confusione storica per un giovane ex giovane fascista: “Dovevamo fare la rivoluzione liberale e siamo riusciti a fare quella sudamericana, con Verdini per il quale “chissenfrega” delle istituzioni e gli avversari politici additati così che qualcuno possa colpirli”. Me ne frego è una invenzione lessicale di Benito Mussolini, nonno di una sua arcirivale di oggi, e non di Jorge Videla né di Juan Peron.

Poi torna uno dei politici più simpatici, intelligenti e abili, anche a far di conto: “Da una parte ci sono 317 deputati per la sfiducia e 308-309 dall’altra. Non ci saranno sorprese. Sarà una settimana politicamente tesa, ma di scontri verbali. Berlusconi non ha più la maggioranza”.

Da qui un fraterno consiglio: “Che vada a dimettersi e poi si sieda attorno a un tavolo con Fini e Casini […] Non c’è ragione per farsi sfiduciare. Può continuare a mostrare i muscoli per rabbia o perché qualche consigliere “scienziato” gli fa credere di avere i voti in tasca. Ma il 14 mattina immagino si dimetterà, avendo così la possibilità, per prassi costituzionale, di riassumere l’incarico. Da quel momento si apre un’altra fase politica”.

Nella domanda finale si legge un po’ di delusione: Quindi Fli non chiude a un Berlusconi-bis. Altro che “mandare a casa” Berlusconi, come insiste, come un disco rotto, il povero segretario del Pd Pierluigi Bersani. La risposta è all’inizio del post.

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