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Tito Boeri: come tassare meno il lavoro? Tagliando incentivi a imprese e corsi di formazione

di admin |8 Ottobre 2013 19:49

Tito Boeri con Enrico Letta e Ferruccio De Bortoli (LaPresse)

ROMA – Il governo Letta sta per affrontare il passaggio ormai obbligatorio della manovra finanziaria, che da qualche anno si chiama Legge di Stabilità. Una legge che dovrebbe porsi il problema di quali misure intraprendere per cercare di far ripartire la crescita economica.

Tito Boeri, economista di scuola bocconiana e già consulente di Fondo monetario, Banca mondiale, Commissione europea  e governo italiano, elenca quelle che a suo parere sono le priorità in un’analisi pubblicata da Repubblica che vi proponiamo come articolo del giorno:

“Sin qui, l’unica conclamata è quella legata alla disoccupazione, soprattutto giovanile. È la priorità giusta perché questo mercato del lavoro penalizza i consumi e spreca il capitale umano di cui disponiamo. Dopo le parole e le misure cosmetiche come il bonus giovani, è tempo di passare ai fatti. Un taglio di 2 miliardi del cuneo fiscale è inutile. Solo una riduzione di almeno due punti e mezzo della pressione fiscale sul lavoro può avere effetti significativi sull’occupazione. Vale un punto di Pil.

Vediamo prima perché e poi come attuarlo e finanziarlo. La priorità oggi non può che essere il lavoro. Sono circa sette milioni le persone disoccupate, sottoccupate o inattive solo perché scoraggiate dopo aver a lungo cercato un lavoro. Quasi la metà di queste ha meno di 35 anni, i lavoratori più istruiti di una forza lavoro che ha un capitale umano più basso che negli altri paesi Ocse. Ed è gravissimo il fatto che, tra quelli attivamente presenti sul mercato del lavoro, quasi solo un giovane sue due trovi un impiego. E non è certo perché i giovani sono schizzinosi: un terzo di quelli che lavorano, lo fanno per meno di 5 euro all’ora, in più del 50 per cento dei casi si tratta di lavori temporanei, spesso con orari più corti di quelli che si vorrebbe (l’80% dei giovani che lavorano part-time vorrebbe un impiego a tempo pieno). […]

Ora si parla di ridurre il cuneo fiscale e contributivo (oggi mediamente al 46 per cento) che grava sul lavoro. Secondo il sottosegretario Dell’Aringa, l’esecutivo sarebbe intenzionato a destinare a questo intervento 2 miliardi. Significa 30 euro in più in busta paga all’anno per chi ha salari di 30.000 euro lordi e 60 euro di costi in meno per il suo datore di lavoro. Pensate che se ne accorgerebbero? Se si vuole davvero stimolare la domanda di lavoro serve un intervento più consistente, almeno due punti e mezzo in meno di prelievo.

Significherebbe per un lavoratore con stipendio medio intorno ai 30mila euro trovarsi 250 euro all’anno in più in busta paga e far risparmiare 500 euro al suo datore di lavoro. Ma un intervento di questo tipo costa attorno ai 16 miliardi.

[…] In attesa degli esiti di una spending review che richiederà almeno un anno, non rimane che la strada dei tagli selettivi (non lineari!) della spesa pubblica. Bisognerebbe partire dagli incentivi alle imprese (una torta compresa tra i 5 e i 10 miliardi perché non si sa ancora a quanto ammontino le somme impegnate dalle Regioni) e dai 7 miliardi che ogni anno spendiamo per le cosiddette politiche attive del lavoro, in realtà in corsi di formazione di assai dubbia efficacia. Poniamo che da questi due capitoli si possano ricavare 10 miliardi. Il resto dei tagli non potrebbe certo escludere i capitoli di spesa che sono cresciuti di più negli ultimi anni, pensioni e sanità, che ormai assorbono metà della spesa corrente. Qui si tratta di tagliare mentre si persegue una maggiore equità.

Quale che sia la strada che si intende perseguire, l’Europa ci verrebbe incontro solo se siamo in grado di garantire fin da subito coperture strutturali per il taglio del cuneo fiscale, almeno a partire dal 2016, con provvedimenti già approvati dal Parlamento. Nel frattempo la spending review potrebbe identificare tagli agli sprechi che valgano altrettanto se non di più.

Questo modo di procedere avrebbe il vantaggio di mettere il governo che opererà dopo le elezioni del 2015 nelle condizioni di scegliere se mantenere i tagli selettivi già votati e destinare le risorse così risparmiate a misure importanti come il reddito minimo (cui ha fatto riferimento il ministro Giovannini su Repubblica) oppure sostituire i tagli selettivi già approvati con le misure varate nel contesto della spending review. Sarebbe anche un modo di orientare, per una volta, una campagna elettorale su scelte concrete.

È chiaro che un’operazione di questo tipo è incompatibile con l’abolizione completa dell’Imu sulla prima casa. Il governo potrebbe limitarsi a ridurre le tasse sulle compravendite immobiliari, in modo da rivitalizzare il mercato delle abitazioni. Se è davvero finita l’era dei ricatti, se è finita la stagione della spesa pubblica e delle tasse che si rincorrono al rialzo iniziata 20 anni fa, è bene mostrarlo subito, sapendo che un taglio permanente e consistente del cuneo fiscale avrebbe effetti sull’occupazione ancor prima di entrare in vigore dal primo gennaio 2014″.

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