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Erri De Luca, 40 anni dopo, da Lotta Continua a No Tav, indulgenza terrorismo

di Marco Benedetto |8 Ottobre 2013 1:13

Erri De Luca: pericolosa indulgenza verso il terrorismo

Erri De Luca replica sprezzante al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano con parole che, quando le dice Beppe Grillo, suscitano orrore e che dette da uno di Lotta Continua vengono accolte con distaccata indulgenza:

“Non leggo quello che scrive il presidente della Repubblica, non mi sento rappresentato”.

Giorgio Napolitano, riferisce Mario Portanova sul Fatto, “ha chiesto di dire basta ad ambiguità e violenze”. Ma a De Luca non va.

Che vuole allora dalla vita Erri De Luca, viene da chiedersi.

Aldo Grasso si è dato, sul Corriere della Sera, una risposta articolata, complessa e sprezzante. A Aldo Grasso sembra che

“De Luca non abbia chiuso i conti con il passato di responsabile del servizio d’ordine di Lotta Continua. È una vita che espia (muratore, operaio, camionista, scrittore…) per placare quella hybris, quella tracotanza, e tutta la sua prosa nasce sotto il segno dell’espiazione, producendo non pochi effetti di «neodannunzianesimo proletario» (Massimo Onofri), di sentenziosità, di ieratismo partenopeo. Come tutti i guru ha un folto seguito di groupies attempate.

“È una vita che, pur leggendo ogni giorno la Bibbia, ci promette la verità sul delitto Calabresi ma finora la reticenza l’ha frenato. …Nella notte della politica, dove tutte le regole sono nere, preferisce smarrire la sensibilità civile”.

Giorni fa, ricorda Aldo Grasso, Erri De Luca,

“seduto sui gradini della Statale di Milano, ha così sentenziato: «Essere incriminati di resistenza è una medaglia al valor civile, tutti dobbiamo essere incriminati di resistenza… Ogni volta che c’è un nuovo arresto, si allarga l’albo dei resistenti. Si entra a far parte di una comunità che dimostra di non lasciar passare l’insulto, l’infamia, l’oppressione, la violenza».

“In precedenza De Luca si era definito «un sabotatore» del cantiere per l’Alta Velocità in Val di Susa, spiegando che i sabotaggi sono necessari per far comprendere che la Tav è un’opera nociva e inutile. Mentre le autorità denunciano il rischio terrorismo in Val di Susa, mentre molotov, maschere antigas, fionde, cesoie, chiodi a quattro punte, chiavette esplosive non si offrono certo come hardware democratico, il «cattivo maestro» ironizza sul suo ruolo di ispiratore: «Non posso usurpare il titolo, non sono maestro, non sono neanche laureato. Cattivo sì e inservibile per i poteri che praticano soprusi»”.

Siamo sempre sulla displuviale, camminando sulla quale molti militanti hanno alla fine ottenuto il meglio dei due mondi. Un conto è la protesta, per quanto estrema, un conto sono gli attentati. Ma troppo spesso, l’esperienza degli anni di piombo ci ha insegnato, i confine tra protesta estrema e violenza è un foglio di carta velina.

Il pacco bomba recapitato alla Stampa, non ha, nella cronaca di Mariachiara Giacosa per Repubblica, alcun

“significato politico  e non riguarda la protesta civile contro un’opera mostruosa”. E ancora: “La lotta pubblica e di massa non subisce alcuna deriva. La protesta della Valsusa è quella di un popolo che si è unito nella più bella lotta democratica di questo paese negli ultimi dieci anni”.

Sarà, però troppo volte la copertura data alla violenza ha provocato strascichi di sangue. Ha detto anche De Luca:

“Quelle montagne sono stracariche di amianto e uranio, se si avvicina un contatore Geiger frigge perchè quelle rocce sono avvelenate. Spostare quei materiali per scavare una galleria significa ammazzare una valle i suoi dintorni”.

Nulla giustifica la violenza. Fa impressione come, 40 anni dopo, la storia tenda a ripetersi nella generale indifferenza, proprio come allora.

La cronaca di Mario Portanova per il Fatto offre una immagine un po’ meno pacifista. La lotta pubblica e di massa e della Val Susa scrive Portanova riferendo leparole di De Luca,

“è semplicemente una resistenza civile a un’opera mostruosa”, “una battaglia di purissima legittima difesa”. E “dove sta il limite della difesa? Nella capacità di espellere l’invasore”.

Con un “distacco infastidito”, Erri De Luca chiede: “Io dovrei invitare il movimento a disattendere la violenza?” E risponde: Ma qui l’invitato sono io”.

De Luca, riferisce ancora Portanova, è napoletano, ha 63 anni, e fu il

“fascinoso capo del servizio d’ordine di Lotta continua a Roma fino al 1976, scrittore di successo (quotato anche in Francia) e traduttore dalla lingua ebraica”.

Il primo settembre ha detto all’Huffington Post: “Sulla Tav il sabotaggio è l’unica alternativa”.

A proposito di due militanti fermati, ha ironizzato sulle molotov “non innescate” definendole “materiale da ferramenta”, mentre le cesoie sono “utili a tagliare le reti”.

Sono gli stessi toni, se non le stesse parole, che molti a sinistra usavano prima che il terrorismo prendesse la mano.

Gian Carlo Caselli, Procuratore capo di Torino, ha denunciato

“l’indulgenza e la comprensione”

di parte della politica, dell’informazione, degli intellettuali nei confronti di “gesti di pura violenza”. Portanova coglie un dato che emerge da tutti gli ultimi 50 anni di storia politica in Italia:

“Un confronto a distanza tra due personaggi che – con tutte le distinzioni del caso – appartengono al fronte progressista. Solo che vedono il confine del lecito in una collocazione molto diversa”.

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